Zona d’ombra – Recensione: la retorica fa da padrona

Una sola parola può descrivere al meglio il film Zona d’ombra – Una scomoda verità (con Will Smith e Alec Baldwin): retorico. Retorici soggetto e sceneggiatura; ingenuo ed eccentrico medico nigeriano emigrato negli States (Smith) che scopre come la lega di football taccia sui rischi che i giocatori corrono a dare e prendere testate. Mentore coraggioso che lo incoraggia contro il sistema corrotto, insperato aiuto da un ex medico dell’NFL colmo di sensi di colpa (Baldwin) e da moglie immigrata che snocciola perle di saggezza spicciola. Logica economica insensibile e antiumana incarnata da un dottore senza scrupoli al soldo del sistema.

Retorici i dialoghi: si ha sempre l’impressione che la realtà dei fatti sia lontana anni luce e le parole siano così artificiose, fatte solo per stupire e per emozionare, che fanno perdere ogni credibilità al racconto. Vaghe battute per strappare un mezzo sorriso e alleggerire la (supposta) tensione. Si prova a dare un senso all’immigrazione buttando lì un mezzo attaccamento alle radici africane (ridicolo per ridondanza il dialogo sul significato del nome del protagonista), che vengono però sacrificate a un sogno americano prima criticato poi abbracciato in toto.

Anche se non sempre lucido, Smith riesce a dare un certo spessore a un personaggio un po’ fuori dalle sue corde ma che si riesce a salvare per la particolarità di carattere e la forte emotività. Per quello che riguarda le altre interpretazioni, ci si trova davanti a una medietà piuttosto sconsolante: nessuno degli attori riesce a far emergere più di quello che la pesante sceneggiatura assegna. È tutto un noioso trascinarsi lungo i binari di altri cento film del genere. E, anche se tratto da una storia vera, risulta finzione dall’inizio alla fine.

Un film d’inchiesta di cui s’intuisce tutto dopo i primi dieci minuti. Non ce n’era un effettivo bisogno. Per convincerci che sbattere la testa faccia male, bastava molto meno.

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