LA RECENSIONE NON CONTIENE SPOILER!
Era il 2000 quando, per mano di Bryan Singer, gli X-Men fecero la loro comparsa sul grande schermo, costituendo uno dei capostipiti dell’enorme ondata di cinecomics che avrebbe imperversato di lì a poco. Tre anni dopo, Singer diresse il secondo capitolo della saga e, da allora, ci sono voluti 11 anni prima che si immergesse nuovamente nel mondo dei mutanti più famosi di sempre.
“X-Men: Giorni di un futuro passato” è il settimo capitolo, spin-off di Wolverine compresi, di una saga che nel 2011 si era rinnovata con “X-Men – L’inizio”, diretto da Matthew Vaughn (co-autore del soggetto del film assieme a Kinberge e Jane Goldman), che ci aveva offerto uno sguardo sul passato di Xavier e Magneto e sull’origine degli X-Men e di cui questo episodio rappresenta il seguito ideale.
Singer decide di tornare in grande stile, proponendoci una storia che si interseca tra passato e futuro, districandosi tra le brutte sorprese che i viaggi nel tempo riservano sempre dietro l’angolo. L’apertura del film ci catapulta immediatamente in un futuro distopico non troppo lontano, in cui il pianeta è costantemente sorvegliato da macchine chiamate “Sentinelle”, costruite con lo scopo di eliminare definitivamente ogni mutante, la cui morsa di ferro ha tuttavia finito per trasformare la Terra in una landa desolata in cui la specie mutante è decimata, costretta a vagare cercando di sopravvivere agli assalti dei terribili robot. Charles Xavier e Magneto capiscono che le carte da giocare sono ormai quasi finite e che l’unico modo per evitare questo destino buio è impedirne l’origine nel passato; ai fini di ciò, il ruolo di protagonista e di ponte tra i due piani temporali viene assegnato a Wolverine, uno Hugh Jackman in gran forma, la cui coscienza viene spedita nel se stesso passato per convincere i giovani Xavier e Magneto a unire le forze per salvare la specie nel futuro.
Il film si sviluppa in modo fluido lungo tutta la sua durata, dimostrando una sceneggiatura, opera di Simon Kinberg, varia e solida allo stesso tempo; l’espediente del viaggio temporale offre la possibilità di un contatto tra le diverse generazioni di X-Men divertente e interessante, permettendoci di esplorare l’umanità, l’ingenuità e le debolezze di personaggi conosciuti nel corso della saga, qui nel fiore dei loro anni. Wolverine, giustamente scelto come protagonista per esigenze di trama e ancor più per essere il membro più amato e rappresentativo del franchise, ci accompagna così in un America degli anni ’70 ancora in pieno tumulto per la guerra del Vietnam, che Singer rappresenta arricchendoli di tutti quegli elementi che hanno reso quel periodo cruciale per il mondo e che il regista ha vissuto da bambino; le scenografie, i costumi e le immancabili citazioni sono rafforzati da una colonna sonora d’epoca azzeccata, il tutto a rendere ancora più credibile la ricostruzione scenica, senza negare a Singer la soddisfazione di parodiare un Richard Nixon quantomeno ottuso e in parte causa del nefasto futuro che attende il mondo. Le sequenze ambientate nel passato hanno sicuramente più peso rispetto a quelle post-apocalittiche, ma ciò non danneggia affatto il film proprio in virtù dell’attenzione che il regista dedica all’evoluzione psicologica dei personaggi; a questo scopo, per quanto l’azione sia viva e presente, la pellicola si concede spesso ampi respiri descrittivi e di puro dialogo, senza perderne però di ritmo, e assumendo altrettanto spesso le sembianze di uno di quei titoli di spionaggio propri dell’epoca in cui è ambientata. Le sequenze nel futuro tendono invece a innalzare l’adrenalina, con i mutanti dei film originali, tra cui Tempesta, Colosso e Uomo Ghiaccio, che cercano di resistere alle Sentinelle.
Le new-entry mutanti sono più che altro di contorno, ma il loro ingresso nel franchise potrebbe schiudergli le porte per i prossimi capitoli. Particolare nota di merito va al giovane Quicksilver, interpretato da Evan Peters (che recitò in “Kick-Ass” con Aaron-Tylor Johnson, per combinazione interprete dello stesso personaggio nel prossimo “Avengers”); il personaggio è sicuramente uno dei più riusciti, con la sua strafottenza mai fastidiosa, protagonista di un ulteriore tocco di comicità e di una delle scene migliori del film, con in sottofondo la perfetta “Time in a bottle” di Jim Croce, nella quale il ragazzo mette in mostra tutta la sua abilità.
Se disposti a scusare alcune licenze artistiche rispetto al fumetto, i fan potranno sicuramente dirsi soddisfatti della fatica di Singer, che riesce come mai prima d’ora a equilibrare azione e riflessione nella saga; l’elemento catartico non è mai invasivo, nonostante i temi della discriminazione e della paura del diverso, di cui gli X-Men sono sempre stati metafora, sono qui portati ai massimi livelli, prospettando un futuro in cui gli uomini, che ritenevano i mutanti diversi nonché una minaccia, si ritrovano infine uguali ai loro fratelli più evoluti sotto l’egida della schiavitù. Singer, che da ebreo e omosessuale, sente particolarmente vicini questi argomenti, ci pone la domanda: “È possibile far tesoro degli errori commessi nell’arco della nostra Storia, impedendo che questi si ripetano nel futuro, o siamo costretti a continuare il nostro circolo vizioso di odio e diffidenza del prossimo?”. Il regista sembra credere in una possibilità di redenzione e cerca di comunicare la propria speranza, la propria fiducia in una seconda chance, senza però annoiare. Le musiche di John Ottman, a cui è stato affidato anche il montaggio, e le interpretazioni degli attori con un plauso alle controparti giovanili, tra cui spicca un credibilissimo McAvoy nei panni del giovane Professor X, sono la ciliegina sulla torta di un prodotto che si dimostra uno dei cinecomics più convincenti degli ultimi tempi, rappresentando una sorta di ricongiungimento e punto di chiusura di un ciclo iniziato con il primo film del 2000, andando però nel contempo a porre le basi per interessanti sviluppi futuri, alla luce degli stravolgimenti spazio-temporali insiti nella pellicola.
Uscito a testa alta da questa prova, riuscito a contenersi anche nell’uso del 3D, quasi sempre ben amalgamato alle scene e artefice di un accentuatissimo gioco prospettico, non ci resta che aspettare il ritorno di Singer dietro la macchina da presa per il prossimo “X-Men Apocalypse”, atteso per il 2016, ma che già stuzzica la nostra curiosità grazie alla scena presente dopo i titoli di coda.
“X-Men: Giorni di un futuro passato”, diretto da Bryan Singer , uscirà nelle sale italiane il 22 maggio 2014, distribuito dalla 20th Century Fox. Nel cast Patrick Stewart, Ian McKellen, Hugh Jackman, Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence, Halley Berry, Nicholas Hoult, Ellen Page, Shawn Ashmore, Peter Dinklage, Omar Sy, Daniel Cudmore, Fan Bingbing, Boo Boo Stewart, Adan Canto, Evan Peters, Josh Helman, Lucas Till e Evan Jonigkeit.