Venezia 71: The Cut Recensione – Il nuovo Leone d’oro?

The Cut, presentato in anteprima mondiale, in concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia, si fa spazio a grandi gomitate tra i film presentati sin ora.

Ambientato a Mardin in Armenia, nel 1915 (durante la prima guerra mondiale), la storia ruota attorno a Nazaret (Tahar Rahim), che, durante una notte una comune, viene prelevato dalle forze turche, che facevano irruzione in case armene; si vede costretto a ad essere separato dalla sua famiglia.
Di fatto lui e il suo gruppo di “soldati”, svolgeranno il ruolo di schiavi, destinati a lavori forzati e ad essere eliminati.
Lui è l’unico a sopravvivere allo sgozzamento, per il coinvolgimento emotivo del suo aguzzino, che provvede, a posteriori, a salvarlo dalla vera morte.
Accolto da vari beduini e commercianti, si risolleva, dopo aver maledetto la sua fede religiosa cristiana, perché non ha dato conforto a nessuno, neanche a lui; il suo unico punto fermo è ritrovare la sue adorate figlie.
Parte così una ricerca che lo porterà in lungo e in largo, fino a Cuba e poi in America, fino alle prateria del North Dakota, con l’unico desiderio di rivederle ancora una volta nella vita.
Girato tra Germania, Francia, Italia, Russia, Canada, Polonia e parlato in inglese, turco, spagnolo e arabo, il film, tratto da una storia vera, è stato trattato splendidamente.

Fatih Akin, il regista (che con questo film chiude la trilogia su Amore, Morte e Diavolo), dirige un’epopea che non ha eguali; all’interno possiede le più diverse quadrature, dai piani sequenza alla macchina a spalla.
L’unica differenza riscontrabile risale nel fatto che mentre la prima parte, dove Nazaret cerca di salvarsi dagli ottomani, è girata in modo splendido, con una fotografia che fa venire i brividi, la seconda parte, invece, quando il raggiungimento della riconciliazione con le proprie figlie sembra non finire mai, appare un po’ troppo ridondante, suscitando qualche risatina durante la proiezione per la stampa, del mattino.
The Cut; la ferita al collo di Nazaret che lo fa diventare muto, la ferita nel popolo armeno, sottoposto alle sofferenze più orrende dai turchi, e lo squarcio nel cuore del protagonista, tra perdite familiari e speranze che sembrano non essere mai saziate.
Tra gli interpreti il cast vede anche Akin Gazi, Simon Abkarian, George Georgiou.
Un bel mattoncino, ma molto scorrevole, con molte scene crude, ma che dovevano essere necessarie ai fini realistici del film.
Un gioiellino da non perdere assolutamente; per una volta le alte aspettative non sono state infrante.
Meglio non sbilanciarsi troppo, a metà festival, ma non sorprenderebbe se vincesse un Leoncino d’oro.

Votazione complessiva: 4 su 5!

Articolo di Mara Siviero

Link adv