Trash – Recensione del film vincitore al Festival di Roma 2014

Si è chiuso il sipario sui film in gara per questo Festival di Roma 2014 e il pubblico, per la categoria Gala, ha decretato vincitore Trash, il film di Stephen Daldry ambientato nelle favelas brasiliane.

In un mondo dove a farla da padrone sono guerra e crisi economiche internazionali, Trash di Stephen Daldry cerca di emergere in un contesto di spazzatura (proprio come il titolo) evidenziando gli enormi problemi del Brasile. Il film, che vede la partecipazione di attori importanti come Rooney Mara assieme all’immortale Martin Sheen, mostra una perfetta vetrina del paese delle false apparenze per eccellenza. I giovani attori che interpretano dei bambini, abitanti delle sporche favelas brasiliane, sono davvero assorti nella loro parte; merita poi una nota di stima la grande prestazione del direttore della fotografia del film Adriano Goldman, che ci porta tra una panoramica e una focale fissa nei meandri più oscuri del Brasile attuale. La trama è semplice e lineare, ma risulta essere coinvolgente con l’incedere del film, una sorta di sinfonia mozartiana.

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Due bambini, durante una delle molte giornate trascorse a spalare rifiuti in una discarica, trovano una borsetta con all’interno un segreto talmente pericoloso che mette a repentaglio non solo la loro vita, ma anche quella degli abitanti della favela. All’inizio i ragazzi sono attratti dall’idea della ricompensa offertagli dalla polizia, ma poi cominciano a capire che dietro questa losca vicenda si nasconde un mistero ben più fruttuoso dell’offerta degli agenti. L’indagine li porta in spericolate avventure attraverso colori sgargianti abbinati a bui oscuri passando per le tortuose strade di Rio de Janeiro. La lotta per la sopravvivenza li porterà alla scoperta di una giro criminale nazionale e ad una ricca ricompensa per ogni singolo abitante della favela, in uno splendido epilogo di suoni e colori.

Stephen Daldry torna ad affrontare le tematiche care al mondo giovanile, precedentemente approfondite con Billy Elliot, questa volta inserendo sullo sfondo una triste storia di corruzione appartenente al Brasile. Il paese dei colori sgargianti è sempre stato al centro della cronaca per le sue altalenanti condizioni economiche e sociali e questo cine-documentario (così potremmo definirlo per assurdo) cerca di sviscerare le più profonde membra della malavita e della povertà.

I ragazzi della favela sono scaltri perché cresciuti ed educati dalla vita che vivono; la polizia mostra fin dal primo momento le chiare ombre di corruzione mentre scorrono inesorabili sullo schermo scene di altalenanti ceti, anche se appartenenti alla stessa sfera sociale. Il grido disperato che viene mostrato alla fine della pellicola è un monito per tutto il mondo, non solo per il Brasile: non esistono ceti, razze o classi sociali, alla fine dobbiamo essere tutti uguali. Daldry ci dimostra come la rivoluzione sia un obiettivo da prefissarsi fin dalla più tenera età, i bambini possono cambiare questo mondo e la storia di questo film ne è la dimostrazione. Profondo.

Articolo di Emiliano Cecere

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