Trafficanti fa fatica a distinguersi tra i film del suo genere. Quegli “ispirati a una storia vera” a metà tra narrazione biografica, denuncia e rampantismo. Non ha la spigliatezza ironica di un Pain and Gain, né la profondità di un Dallas Buyers Club. Rimane a metà, tra una buona prova di regia e fotografia, e una trama che stenta, soprattutto per i ritmi discontinui. E, alla lunga (2 ore e mezza di film), sonnolenti.
Trafficanti: buona regia, peccato per il ritmo
Si parte con un flashforward – quasi tragedia? – che ci proietta a tre quarti di film. Poi riviviamo le vicende di David Packouz (Miles Teller), alle prese col sogno americano di un lavoro facile, soddisfacente e, soprattutto, remunerativo. La risposta arriva dall’incontro con il suo migliore amico del liceo, Efraim Diveroli (Jonah Hill). Questi cerca online aste governative in cui lo zio Sam richiede armi e munizioni a prezzi modici. Poi, cerca fornitori che offrano un prezzo più basso. Presto i due cominciano a collaborare, all’insaputa della moglie di David (Ana de Armas). E presto cominciano le prime ghiotte occasioni e i primi intoppi. Carico di Beretta da recapitare in Iraq, ma dall’Italia non fanno spedizioni dirette. Grosso affare per l’Afghanistan. Ma ci si mette di mezzo un trafficante di fama internazionale.
Scansione in capitoli, titolati da frasi emblematiche. Alcune d’effetto (“I soldi si fanno tra le righe”), altre meno. Da subito – e si confermerà – una voce narrante ingombrante, pleonastica. Contribuisce ad ammazzare il ritmo, già agonizzante dopo la prima ora e mezza. Per l’estrema lunghezza del film, troppi tempi sono dilatati, e i saliscendi ritmici lento-climax risultano modulati e prevedibili. Personaggi poco graffianti. I bisticci di David con la moglie sembrano sceneggiati da undicenni. Screzi tra partners non preparati a dovere.
Ma le scene sono ben girate. Buone location (Giordania, Albania) sfruttate a dovere e con il giusto sguardo. Buona scelta degli attori, sempre piuttosto convincenti all’interno della gabbia del loro personaggio.
Per concludere…
Trafficanti prova a sparare molte frecce. Ipocrisia del sistema. Antiretorica di una guerra fatta di soldi dove si possono lasciare da parte concetti etico-umanitari se lo scopo è arricchirsi. Sete di soldi e potere. Domande etiche. Eccetera. Ma non colpisce alcun bersaglio. Non c’è abbastanza profondità psicologica. Non riesce a denunciare né il Sistema, né la faciloneria di certe sotto-ideologie. Non sfrutta a dovere la potenziale vena pulp del soggetto. E rimane solo un lungo film, ben fatto, che lascia tanti sbadigli e poche domande.