The Space in Between, Marina Abramovic and Brazil – Recensione

Marina Abramovic è un’artista che ha fatto della performance la sua forma d’espressione. Al centro delle sue opere, il dolore, il rito, il suo corpo. La ricerca di un superamento interiore della propria debolezza. The space in between – Marina Abramovic and Brazil è il documentario del viaggio dell’artista in Brasile, alla ricerca di una sua spiritualità. La motivazione del viaggio è una delusione d’amore che la donna non è riuscita a superare. Un dolore emotivo che, a differenza di quello fisico, le pare insormontabile.

The space in between, Marina Abramovic and Brazil – Egotismo d’arte

Viaggio alla scoperta di una spiritualità diversa da quella della nostra cultura. Simbolismo cosparso nelle azioni dei terzi. Le immagini, suggestive, riescono a trovare una loro potenza iconica. Caverne, boschi, bevande allucinogene, nudità. Ogni persona incontrata sembra depositaria di un frammento di Dio. Un guaritore, una cuoca, un’anziana levatrice, un trombettista. Il fascino può incrinarsi nel momento in cui ci si accorge che non c’è legame tra gli eventi. Quello di Marina Abramovic non è un percorso. È un rimpallo continuo tra un’esperienza e l’altra. Una ricerca disperata. Sventola la bandiera di una verità interna all’uomo, ma cade, minuto dopo minuto, in una sventurata (e voluta?) contraddizione. Il luogo in cui questa verità viene ricercata è troppo esterno, troppo diverso dall’io dell’artista. Confusione tra fuga e atopia.

Tra new age e sincretismo religioso, viene data una prospettiva che riscrive la vita a metà, tra rito, quotidianità e arte. Noi non vediamo, non possiamo vedere, il viaggio interiore della donna. Quello che rimane sono immagini e parole di un mondo estraneo. Ma non c’è filtro umano che unifichi le diversità per arricchirci di una Fede. L’unica cosa che lo spettatore può fare, è seguire l’artista nel suo viaggio esplosivo, senza cercare, capire, pensare, ma solo sentire.

Per concludere…

C’è un senso puramente egotistico, ombelicocentrico. Non c’è una narrazione, una sete di conoscenza. È una messa a nudo (in ogni senso) di una persona. Lo scopo primario è quello estetizzante del viaggio. Un Don Quixote che viaggia lungo le strade del proprio passato e della propria anima per una meta che non riesce neanche a immaginare. Il Brasile è emblema contraddittorio e variegato di questa meta.

Il problema di The space in between è che lo spettatore viene invitato a una visione passiva. Come detto, quello di Marina Abramovic non è un percorso. È passaggio casuale da una verità a un’altra, ciascuna trangugiata senza essere masticata. C’è uno spirito dogmatico e acritico che scorre sul fondo dei suoi viaggi. Per goderli, bisogna accettare questo: nel bene e nel male, spegnete il cervello prima di entrare in sala.

Link adv