Stranger Things – Stagione 1: recensione spoiler free!

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Stranger Things è la nuova serie di Netflix uscita il 15 luglio 2016 e ideata dai fratelli Duffer. Ambientata in una cittadina fittizia dell’Indiana, mette in scena le vicende di un gruppo di dodicenni alle prese con la sparizione di uno di loro.

Stranger Things: nostalgia ben calibrata

Quelli che hanno vissuto la propria gioventù/infanzia attorno agli anni ’80, non possono non cogliere quanto questa serie sia fatta per loro. Echi spielberghiani. Kinghiani (Stand by me). Topoi horror e d’avventura. È un calderone in cui sono stati riversati e mescolati con sapiente mano gli elementi cine-commerciali di quel periodo. Ragazzetti all’avventura sulla sella di una bici (vedi Goonies). Bulletti scolastici. Cospirazioni governative. Ricerche sui poteri ESP. Dungeons and Dragons. Adolescenti presi di mira da un mostro. Walkie Talkie. Bambine misteriose. Citazioni da Star Wars.

Quello che viene fatto è riprendere questi elementi e non metterci nulla di più di quello che ci avrebbe messo un regista trent’anni fa. Ovviamente, con formato e ritmo adatto alla serialità contemporanea. Ciò che viene fuori è un prodotto pulito, forse prevedibile, ma d’effetto. Fotografia e dialoghi che ricalcano la nitidezza narrativa degli 80s.

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Trama

Will, un dodicenne un po’ nerd che passa le sue giornate a giocare a D&D, sparisce senza lasciare traccia. Lo sceriffo Jim Hopper (David Harbour, di recente intravisto in Suicide Squad) comincia a indagare. La madre (una straordinaria Winona Ryder). contro ogni pronostico, sente che è ancora vivo. Altri fatti continuano ad accadere: omicidi, sparizioni. Gli amici di Will, sulle sue tracce, trovano una bambina misteriosa che sembra sapere molto più di quello che dice. E tutto sembra portare allo strano edificio governativo che sorge nei pressi di Hawkins.

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Intuibile lo svolgimento della trama, ma non è il forte del film. Anzi, se si forzasse il plot, si rischierebbe di scardinare il bel gioco di topoi che viene a crearsi. La sceneggiatura gioca con gli stereotipi caratteriali dei film di quel periodo (il ragazzino intuitivo e emotivo, quello coi piedi per terra, il belloccio che pensa solo al sesso, la timida studentessa, il bullo, il poliziotto che si affida a pugni e istinto, il teenager introverso, la madre apprensiva, il padre menefreghista) divertendosi a ribaltarli e rivederli oppure a spingerli fino alla soglia dell’inverosimile. L’atmosfera horror regge, mischiandosi piano piano ad altre tonalità più leggere ma senza mai far perdere un senso di tensione.

Per concludere…

Stranger Things coglie nel segno. Si rifa al filone della nostalgia molto in voga negli ultimi anni, ma lo fa in modo lucido, intelligente. Boccata d’aria fresca per i trentenni-quarantenni d’oggi. Nessun cerebralismo o significato sotteso. Nessun roboante sfoggio d’effetti speciali (ma qualcosina c’è…). Solo una storia tra l’horror, il thriller e l’avventura, che ti tiene lì dall’inizio alla fine.

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