A spasso con Bob – Recensione: miagolare non stanca

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A spasso con Bob è un film che sa sfruttare i suoi (pochi) punti forti. Dall’impianto pseudo favolistico, il film cerca di trarre insegnamenti alla mano, quasi infantili (affetto che salva da perdizione). Su questa base costruisce bene i rapporti tra i personaggi, mettendo tanta carne sociale al fuoco (vegetarianesimo, droghe, lavoro) senza la pretesa di impartire lezioni o approfondire argomenti. Punta sulla dolcezza più che sul dramma. E il gatto Bob, vero protagonista anche della storia vera da cui il film è tratto, in un’epoca di teneri animalismi da social, fa la sua figura.

A spasso con Bob – favolona metropolitana con gatto

James (Luke Treadaway) è eroinomane sotto metadone che tenta di dare una svolta alla sua vita. Ma ogni volta cade nelle stesse tentazioni. Giorni passati a suonare sperando di racimolare qualche soldo. Notti perse a rovistare nei cassonetti. L’assistente sociale che lo segue (Joanne Froggatt), crede in lui a tal punto da riuscire ad affidargli un’appartamento popolare.

Qui, la prima notte, James incontra Bob, un gattone rosso intrufolatosi nell’abitazione. Lo nutre, ma non lo crede randagio, quindi cerca di liberarlo alla prima occasione. Ma Bob lo segue, e James si trova davanti alla nuova necessità di badare a qualcuno. Soggettive feline poco convincenti, ma quando comincia a fare le fusa ci si scioglie facilmente. Il regista Roger Spottiswood crea bene l’atmosfera di complicità tra i due e la loro insondabile solitudine. Solitudine che si rompe quando James fa amicizia – sempre per merito di Bob – con la vicina Betty (Ruta Gedmintas). Passato drammatico, con fratello morto di overdose. James non ha il coraggio di confessarle le proprie debolezze.

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Nel frattempo, grazie all'”appeal” di Bob, le ballads chitarra/voce per la strada diventano una piccola miniera di speranze. Per James sembra forse prospettarsi un futuro. Qualcuno, felino, umano, che aiuti a dimenticare la tentazione ossessiva del bucarsi. Che, a sua volta, aiuta a dimenticare ferite famigliari che escono a singhiozzi. Ma il successo ha sempre un risvolto negativo.

A spasso con Bob – l’affetto che salva

Gatto motore/feticcio della trama. Sempre nell’occhio e nel cuore dello spettatore. Giochi, carezze, accoccolamenti sulle spalle a mo’ di sciarpa. Come coperta di Linus, i suoi miagolii e le sue fusa lo fanno diventare oggetto d’insperata salvezza. Il suo affetto animale, così presente e reale, di fronte alle evanescenti promesse dell’eroina, rompe il rigido guscio di James e lo costringe ad approcciarsi al mondo.

Treadaway rende bene il suo giovane introverso eroinomane. La sua parte, complice regia e fotografia che rimandano più a un telefilm americano che al disperato squallore da Trainspotting, risulta piuttosto lineare. Estrema, nel bene e nel male. Ma il volto scavato, le espressioni oscillanti tra gioia e paranoia e i fremiti del corpo in astinenza danno la giusta dose di drammaticità.

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L’umorismo risulta poco mordace. Ma, a differenza di troppi film degli ultimi tempi, non cerca l’ammicco. Le battute che i personaggi si scambiano tra loro (e con il felino) non sono mai rivolte allo spettatore, e l’implicita comprensione di ciò strappa sorrisi di facile dolcezza.

Per concludere…

Puntare su bambini e animali, si sa, è sempre facile. Coniugare drammi sociali alla rinascita realizzata dall’incontro con l’innocenza, è leitmotiv di emotività. Ma A spasso con Bob riesce quasi sempre a scansare le accuse di facilismo per il rifiuto d’universalità. L’immediatezza della storia e il suo scansare impegno e profondità è un buono scudo. Film semplice, non perfetto, non memorabile, ma che sa raccontarsi con la giusta dose di leggerezza.

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