Soap Opera – Recensione del film d’apertura del Festival di Roma

È così che aprono i battenti della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, con un film tutto italiano: la commedia corale Soap Opera, firmata da Alessandro Genovesi nelle vesti di regista, sceneggiatore e ideatore del soggetto (pensato inizialmente per il teatro).

Aprire il Festival con un film del genere è stato definito un atto coraggioso, una sorta di ritorno alle origini di questa manifestazione, molto più popolare della controparte veneziana.

Lasciando da parte i preamboli con cui è stato presentato il film, sui quali tuttavia si potrebbe discutere a lungo, diamo un’occhiata più da vicino al nuovo lavoro di Genovesi.

Soap Opera ha un impianto alla base piuttosto semplice: raccontare la vita dei singolari inquilini di un condominio, la cui esistenza dista parecchio da ciò che definiremmo normale. Le storie di questi personaggi si intrecciano la vigilia di Capodanno, quando un evento nefasto ricade sul palazzo.

Nemmeno fossimo a un circo, le figure che prendono possesso dello schermo formano un variegato gruppo di fenomeni da baraccone: abbiamo Francesco (il consueto Fabio De Luigi), ragazzo dai forti complessi esistenziali la cui vita è ormai all’insegna del sesso in seguito alla rottura con Anna (Cristiana Capotondi), da lui ancora amata ma che ha conosciuto un altro uomo di cui è rimasta incinta; seguono i due fratelli Gianni e Mario (Ale & Franz), il primo padrone del condominio, il secondo costretto su una sedia a rotelle a causa di un incidente per mano dello stesso Gianni, che ora fa malvolentieri da balia a Mario. Prima presenza femminile nel cast, la sempre più presente Chiara Francini nei panni di Alice, interprete di fiction televisive con un debole per gli uomini in uniforme.

A questi si aggiungono poi Paolo (Ricky Memphis), in attesa di un figlio ma contemporaneamente alle prese con dubbi di carattere sessuale; la nuova arrivata Francesca (Elisa Sednaoui) e l’istrionico carabiniere Gaetano (Diego Abatantuono), incaricato delle indagini in corso nel condominio.

Dilungarsi ulteriormente sarebbe inutile e, dopotutto, a nessuno piacciono tanto gli spoiler. Questo però non ci vieta di fare le nostre considerazioni sul film.

Alcuni l’hanno definito originale, altri “da morir dal ridere”; io personalmente ci ho visto, escludendo un paio di momenti, un’ora e mezza di noia. Mettere un gruppo di disadattati – chi più, chi meno – all’interno di un palazzo non basta per costruire un film originale (parola ormai utilizzata con noncuranza disarmante), così come non è sufficiente dare al proprio titolo un’atmosfera volutamente artificiosa per evidenziare i caratteri stravaganti dei protagonisti.

Su questo si potrebbe anche sorvolare, perché lo stesso Genovesi ha ammesso di voler fare semplicemente una commedia e di non pretendere oltre, ma se fosse questo il solo tasto dolente dell’opera, non avrei da ridire più di quel tanto.

La storia in sé, dopo l’incipit, non sembra andare a parare da nessuna parte fino alla conclusione. È come se dovesse succedere qualcos’altro che inneschi la vera azione del film, ma questa scintilla viene costantemente posticipata finendo per non esserci in assoluto. Stupisce poi il paradosso del poco interesse verso i personaggi; tanto peculiari nella loro apparenza ma altrettanto poveri di concetti da veicolare, alle cui storie il pubblico assiste in attesa di uno sconvolgimento che – sono desolato – non arriverà mai. E se è vero che siamo in una soap opera condominiale, in cui la finzione è un elemento essenziale, alcune battute pronunciate dai personaggi sono talmente forzate e poco credibili da superare ampiamente la linea di sopportazione della finzione imposta dal regista; questo perché, pare ovvio, rendere i personaggi poco spontanei non rientrava certamente nelle intenzioni del cast, ma è derivato da una sceneggiatura piuttosto maldestra e degli interpreti a volte quasi per nulla ispirati.

Va bene che Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi siano ormai i pupilli di Genovesi, ma riproporre gli stessi schemi ripetutamente, con loro due nei panni della solita coppietta, rischia davvero di annoiare oltremodo; più che per il riproporre gli stessi attori, annoia la mancanza di una chimica più accattivante.

Anche gli altri interpreti non danno sfoggio delle loro abilità nascoste: Diego Abatantuono non si distanzia molto dai classici personaggi cult interpretati in passato e Ricky Memphis sembra essere in stand-by per l’intero film. La Francini si salva, sebbene anche lei porti sullo schermo la sua solita maschera, ma almeno in linea con il personaggio del film; anche Ale e Franz se la cavan0, perlomeno per avergli affidato panni diversi in molti aspetti da quelli vestiti sul palco di Zelig e anzi avendoli spesso resi cupi; buona anche la performance della Sednaoui, che porta a compimento il suo lavoro nonostante qualche battuta biascicata e a volte di difficile comprensione a causa dell’accento.

Ma soprattutto, considerando che parliamo di una commedia, non so chi mi sconfesserà ma il film non fa ridere. Tutti sembrano essere costantemente alla disperata ricerca di far ridere gli spettatori e cercano di farlo con gag e battute di una piattezza allucinante. Ci sono alcuni momenti che fanno sorridere, ma il volere a tutti i costi divertire, senza peraltro riuscirci, è impossibile da perdonare. E se alcune battute si sarebbero potute salvare con una pianificazione più umoristicamente ragionata, a essere sbagliati sono i tempi comici, colpo di grazia alla commedia.

Alessandro Genovesi, dunque, realizza un film che apre il Festival di Roma 2014 nel modo meno auspicabile possibile. Fa piacere avere un titolo italiano ad aprire l’evento, ma se alcuni ci hanno visto originalità, io personalmente ho visto solo un tentativo finito male di far ridere spacciando però la commedia per qualcosa di totalmente inedito per la cinematografia degli ultimi anni. Il regista ha ammesso di essere un grande fan di Wes Anderson e i richiami ai lavori dell’autore statunitense, come Moonrise Kingdom o Grand Budapest Hotel, sono fin troppo facili da individuare e sono forse l’unico elemento realmente degno di nota del film. A una regia piuttosto monotona, che si limita a seguire gli attori passivamente o a inquadrarne dei primi piani poco ispirati, si contrappone un’interessante scenografia, che rende bene il calore del condominio e dei singoli appartamenti, complice una fotografia dalle tonalità calde, in contrasto con il nevoso maltempo che circonda il palazzo; la costruzione dell’edificio, che ricorda per certi versi una casa per bambole, evidenzia ancor più la caratteristica artificiosa del mondo dei personaggi e conclude forse l’unico reparto ben curato, affidato alle mani di Tonino Zera.

Non posso quindi non chiedermi come si siano sprecati tanti applausi per questo film e si sia stati tanto timidi nei confronti di We Are Young. We Are Strong. di Buhran Qurbani, che ha avuto bisogno di alcuni coraggiosi apripista per prendersi i propri applausi. Detto questo, e tralasciando con molta forza d’animo che il film è stato realizzato con il sostegno dell Regione Lazio grazie al Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo, confido a questo punto nella chiusura di Ficarra e Picone e del loro Andiamo a quel paese. Magari sarà la volta buona!

Soap Opera arriverà nelle sale italiane il 23 ottobre. Diretto e sceneggiato da Alessandro Genovesi, il film vede nel cast la presenza di Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Ricky Memphis, Chiara Francini, Ale & Franz, Diego Abatantuono ed Elisa Sednaoui. Breve apparizione anche per Caterina Guzzanti. Il titolo è prodotto da Colorado Film e Wildside, in collaborazione con Medusa Film.

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