Snowpiercer – Recensione

Stupefacente.

Ecco quale è il primo commento che sale alle labbra, dopo aver visto Snowpiercer. L’ennesimo titolo ispirato a un fumetto (in questo caso, graphic novel francese, Le Transperceneige)? Per nulla. Una storia originale, avvincente, claustrofobica e ben lontana dall’essere il più classico disaster movie degli ultimi anni (intorno al 2012, tra Maya e profezie varie, ne abbiamo visti fin troppi). Stupisce perché la storia è reale, tangibile, la ascoltiamo quotidianamente nei telegiornali. Accordi per la diminuzione delle emissioni di gas serra, esperimenti per ridurre l’impatto umano sull’ecosistema del pianeta Terra, surriscaldamento globale… Nulla di tutto ciò però è funzionale, ma la soluzione dell’umanità è semplice:  rilasciare nell’atmosfera un gas artificiale in grado di interagire con gli altri presenti, e abbassare la temperatura terrestre a livello globale, per riportarla a livello accettabile sia per l’umanità che per il Pianeta stesso.

Ma la tragedia è dietro l’angolo, perché questo miracoloso sistema… Esagera. Riporta la Terra in una nuova era glaciale, e lo fa in una maniera talmente repentina che sono ben pochi i sopravvissuti alla catastrofe. Sono talmente pochi da essere racchiusi in un mastodontico treno, in costante viaggio intorno a una linea chiusa, che attraversa il pianeta in lungo e in largo, girando in tondo. Un sistema chiuso e isolato dall’esterno, e isolato tra elementi interni.

La rigida divisione in classi è l’esasperazione della società moderna. Si nasce in un livello e non importa quanto si lotti per salire. È più facile scendere, che salire. Passare dalla prima classe a “quelli di coda”, quelli che si sono mangiati tra loro quando c’era la fame, quelli che hanno sacrificato parti di sé perché non fossero i bambini, a finire sul piatto, quelli che ricordano come era prima del disastro, quelli che rivogliono una dignità. Curtis (Chris Evans, che stupisce per riscoperte doti nel caratterizzare un personaggio che di per sé potrebbe essere un sasso monolitico) è uno di questi, e collabora con  Gilliam (John Hurt) affinché questa rivolta sia l’ultima, quella definitiva, quella che arriva alla testa del treno per impedire a Wilford (Ed Harris) di continuare a portare avanti questa strana dittatura sul treno. Curtis ha la sua prima nemesi in Mason (una immensa e irriconoscibile Tilda Swinton), una donna fredda, supponente nella propria posizione di potere, e tremendamente vigliacca quando si trova da sola.

Lo scontro è claustrofobico: gli spazi ristretti sono quelli di un treno, e non se ne esce quasi mai, se non con qualche panoramica: il punto di vista è sempre interno, pulsante, soffocante perché respiriamo aria simile, aria pesante, aria che si rinfresca solo quando si scoprono i vagoni con le finestre. Sì, perché c’è chi non le ha, e vive nella forma più artificiale che ci sia. Ma si lotta letteralmente all’ultimo sangue, con le armi che si hanno, perché si vuole solamente vivere. O avere la possibilità decisionale sulla propria vita, e su quella di chi si ama.

Bong Joon-ho esordisce splendidamente con il suo primo film in lingua inglese, creando un prodotto che è degno dei migliori film statunitensi: con oltre 28 milioni di dollari di costo di produzione, è il film coreano più costoso della storia, con una post-produzione infinita (le riprese iniziarono a Luglio 2012 a Praga) e un cast più che degno di nota.

Coinvolgente, affascinante e angosciante, Snowpiercer trascina lo spettatore con un metodo di regia particolare, che si concede qualche ripresa a mano libera e qualche scena in punto di vista del protagonista, ma non esagera mai in nessuno dei due sensi. L’avvincente colonna sonora di Marco Beltrami (compositore di origina italiana, già autore delle musiche di  Wolverine – L’immortale, World War Z e Carrie, per citare solo alcuni titoli più recenti) accompagna lo spettatore verso la testa del treno. Verso quella strana, violenta rinascita che l’umanità si concede. Forse.

Snowpiercer è ben lontano dall’essere il più classico degli apocalittici: il dramma umano è in primo piano, e non si risparmia la violenza cruda e che picchia allo stomaco. Forse è questa potenzialità di realtà, per quanto può essere spietato l’essere umano, a renderlo particolare, e degno assolutamente di essere visto.
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