Snowden (qui il trailer) è la storia vera di Edward Snowden, hacker trentenne che nel 2014 ha reso pubblico il sistema informatico che permette alle agenzie governative USA di ottenere qualsiasi informazione sugli utenti di dispositivi elettronici di tutto il mondo. Come ci si può aspettare, Oliver Stone punta sulla prospettiva eroica di un individuo in lotta contro il sistema. Utopia USA che si scontra con la perenne realtà di potere, intrigo e convenienza. Scivoloni tra retorica, spy-story e tipizzazione. Ma la mano abile di Stone – non certo l’ultimo degli imbecilli – riesce a tenere alto il ritmo e scorrevole la narrazione.
Snowden – l’informatica è il vero campo di battaglia
Hong Kong, aeroporto. Due giornalisti attendono il misterioso informatore. Dita che scattano nervosamente su cubo di Rubik, ed ecco il nostro Edward Snowden (Joseph Gordon-Levitt). Si chiudono in una stanza d’albergo e comincia la narrazione. Flashback. Tappe che ricordano la nascita di un supereroe: Snowden che prova a entrare nelle forze speciali, ma è troppo debole. Ginocchia che cedono. Quindi, senza uno studio superiore, senza appoggi, prova a entrare alla CIA nella sezione informatica. Ed esplode il suo genio. Sotto l’ala dell’ambiguo O’Brian (Rhys Ifans) e dello scontento Hank Forrester (Nicolas Cage) comincia a ricevere i primi incarichi di spionaggio-controspionaggio informatico. E comincia a rendersi conto di quanto il governo sia dentro le vite private di ciascuno. I suoi principi lo portano a scontrarsi con la CIA e a preferire una vita tranquilla con la fidanzata Lindsay (Shailene Woodley). Ma (e qui torna la vocazione supereroistica) il richiamo alle proprie capacità e al proprio destino si fa sempre più impellente.
Ginevra, Tokyo, Hawaii. Nella sua carriera visita molti luoghi, ma la testa è sempre sul lavoro. Ossessioni, stress. Il programma che lo stesso Snowden progetta come backup, viene usato per scopi militari. La scoperta che la stessa Lindsay viene controllata lo porta a prendere la decisione che gli cambia la vita. La decisione che lo consacra come eroe. Anzi: supereroe. Le sue capacità informatiche fuori dal comune sono come un superpotere. E in un mondo dove informazioni e segretezza sono armi, il vero “supereroe” è colui che le sa dominare entrambe.
Snowden – epica superficiale
In realtà per tutto il film non ci sfiora minimamente l’idea che chi abbiamo davanti sia una persona comune. Anche i suoi errori umani (soprattutto di relazione con Lindsay) vengono “scusati” dallo stress della segretezza del lavoro. Stone ci presenta uno Snowden bianco contro un mondo nero. Non c’è posto per sfumature di grigio. Il mentore “buono” Forrester (notare foto di Kennedy nello studio) contro il cattivo O’brian (notare facciona e toni melliflui nel dialogo allo schermo con Snowden). La parabola da repubblicano convinto a progressista con sapore d’anarchia è emblematica viste le posizioni politiche del regista. Snowden è un Capitan America che diventa V.
Il resto dei personaggi sono ammiccanti comparse di cui Stone ci lascia intuire lo schieramento. Pro o contro. Solo questo importa. Poco approfondimento; si preferisce giocare su toni epici, su spersonalizzazione di schermi e codici. Stone sa raccontare bene. Sfasa il tessuto narrativo con scatti fotografici, esplorazioni in CG, passaggi tra un presente d’incertezza e tensione e un passato di sicurezza oscura. Ritmo, tempi e modi, rimangono accattivanti anche in una trama ripetitiva.
L’assoluta epicità (quindi, brechtianamente, distanza) dei toni non permette allo spettatore una reale identificazione. La realtà del film pare sempre una realtà diversa, alternativa, da fiction. E qui c’è l’errore. Un tema così attuale e reale, trattato con toni supereroistici, perde forza e incisività. L’idea di Stone non sembra essere quella di mostrare una faccia del potere, né di critica dello stesso. Piuttosto, si ferma a una distinzione binomia Bene/Male. Libertà/sicurezza. Anarchia/sistema. Per forza di cose parziale, perché sposa un’unica necessità.
Per concludere…
Snowden è l’agiografia di un nerd informatico che segue il cammino verso una libertà ideale. Il cammino è presentato con dovizia narrativa, e chiarezza negli aspetti tecnici. Ma scarseggia in approfondimento psicologico e nel cogliere l’obiettivo. L’America criticata con toni americani (ben distante dalla forza multiforme ed esplosiva di Natural Born Killers) è un uomo che si guarda allo specchio e si insulta senza troppa convinzione.