Shut In è un horror piuttosto vuoto (qui il trailer). Prodotto da Canal+, regia affidata a Farren Balckburn. Il regista ha dalla sua un curriculum di serie tv, anche notevoli (Daredevil, Doctor Who), e si vede nella mancanza dei tempi giusti per la cinematografia. Niente riesce a scalfire la noia della trama troppo prevedibile: né attori, né regia, né dialoghi, né – soprattutto – idee. Un clichet dietro l’altro, con citazioni mal proposte da Shining a Babadook, è la linea guida del film. Con aggiunta di un pizzico di logica cigolante. Se il massimo dell’inquietudine per un thriller-horror sono Jumps Scare puntualmente sottolineati da temi musicali fatti con lo stampino, vuol dire che la paura sta da un’altra parte.
Shut In – pioggia di clichet
Maine, Stati Uniti. Casa persa in mezzo alla foresta (clichet!). Mary (Naomi Watts), è la matrigna di Stephen (Charlie Heaton, volto adolescente di Stranger Things). Lo ama come fosse figlio suo, ma il ragazzo è problematico (clichet!). I genitori vogliono mandarlo in un’altra scuola ma, durante il tragitto in auto col padre Richard, un litigio li porta a schiantarsi contro un camion. Richard morto (clichet!), Stephen in stato vegetativo. Saltiamo sei mesi: Mary riesce a coniugare il prendersi cura del figlio con il suo lavoro da psicologa dell’infanzia (clichet!). Uno dei bambini di cui si prende cura, Tom, sordomuto, sembra le stia particolarmente a cuore. Ma una notte, neve e gelo e strani rumori (clichet!), lo trova fuori da casa sua (??). Lo fa entrare, prova a metterlo a suo agio, ma il bambino fugge. Le ricerche non portano a nulla, e Tom viene dato per disperso o per morto (clichet!).
Ma (clichet…) durante la notte, strani rumori. Mary dorme male, ha gli incubi ed è convinta di vedere il fantasma di Tom. Il suo psicologo non riesce a convincerla che il suo problema non sia reale. L’arrivo di una tempesta promette una scena finale al buio (clichet!).
Per concludere…
Regia sonnolenta. La casa persa in un paesaggio innevato offrirebbe molti spunti, ma le tinte coloristiche non cercano personalità. Jumps Scare orchestrati bene (e ci mancherebbe…), ma troppo troppo troppo prevedibili. La “follia” non viene né descritta e né vissuta dalla Watts in modo convincente. Troppo sterotipata, Mary non ha profondità, né nell’affetto né negli abissi. Anche la trama, con (finto) colpo di scena pre-finale, poteva essere giocata su toni morbosi, ma si sceglie con poco coraggio la linearità del prevedibile. Lo stesso colpo di scena risulta artefatto, pur nella sua scontatezza.
In Shut In c’è poco da salvare. L’atmosfera horror non regge all’evidente idea thriller che c’è alla base. Mai per un attimo riusciamo a credere al preteso soprannaturale. Mai per un attimo crediamo alla follia di Mary. Mai per un attimo siamo presi dal demone dell’inquietudine. Mai, per nulla al mondo, vorremmo rivedere un horror così.