Romeo and Juliet – il fascino nerobianco dell’adolescenza

Romeo and Juliet non ha bisogno di alcuna presentazione. Così come non ne ha bisogno Kenneth Branagh (del quale siamo ancora in attesa di un Assassinio sull’Orient Express). Secondo appuntamento con la Kenneth Branagh’s Theatre Company al Garrick Theatre di Londra. Il primo, l’ottimo The Winter’s Tale, che ha visto in scena lo stesso Branagh al fianco di Judi Dench. Rimaniamo in attesa del terzo e ultimo appuntamento: The Entertainer di John Osborne.

Romeo and Juliet – insolita mélange di cinema e teatro

Collage di commenti, interviste e opinioni pre-spettacolo. Già si coglie la strana scelta del bianco e nero. Poi, mano a mano che ragazzi e ragazze ci dicono la loro sugli adulti, amore e passione, Branagh comincia a prendere la parola per spiegarci le scelte. Regia cinematografica affidata a Benjamin Caron. E ha il suo peso. Sfasatura tra regia teatrale e regia cinematografica (quasi assente in Winter’s Tale, impostato su un’esasperata frontalità). Gli omaggi – a partire dalla scelta del B/N – al cinema italiano classico possono essere colti solo da chi non se lo gode dal vivo. Scorci quasi neorealistici e sornioni ammicchi da commedia. Anche l’uso di uno strano bilinguismo (per noi italiani, uno “stronzo” tra le parole del Bardo non può che far sorridere), e un principe in uniforme da carabiniere vanno a stravolgere l’atmosfera confermando l’effettiva universalità di una storia senza tempo. Scenografia essenziale ma d’effetto. Mura e pilastri che scendono e risalgono tra scalini. Pietra usurata dal tempo e dalla storia, che ci riporta anch’essa a un’italianità stupita.

Le scelte stranianti continuano nel cast: Derek Jacobi è un Mercuzio attempato. Idea di compagno/mentore, saggio ma mai cresciuto. Immenso. Al suo fianco, un Romeo più standard (Richard Madden – evidentemente segnato da nozze che finiscono in tragedia – già con Branagh e Jacobi in Cenerentola). Giulietta è ben incarnata da Lily James. Ma nessuno dei personaggi segue l’idea standard della tragedia. Romeo ammicca, è scherzoso, gioviale, tormentato. Diventa guitto e amante passionale al tempo stesso. Madden scivola sulle sfumature. Troppo spesso il guitto arriva a sfottere l’amante, riducendosi a caricatura. Giulietta, dapprima schiva e angelica, diventa poi emblema di sofferenza e gioia fisica. Anche rischiando di cadere nel ripetitivo, il suo dolore non ha nulla di spirituale o cerebrale. È sofferenza intima, che scaturisce da pube e ventre e si raccoglie in grida d’angoscia terrena e infantile.

Romeo and Juliet – di passioni ed estremi

La scena del balcone rimane memorabile e emblematica. Branagh riesce a renderla divertente cadendo nel ridicolo solo a sprazzi. Come tutto il film, funziona quando i due protagonisti – non sempre impeccabili – riescono a scherzare, scimmiottarsi e scimmiottare l’idea di adolescenza, rimanendo se stessi. Quando invece diventano macchiette, la commedia italiana sottostante fuoriesce violenta e spezza l’equilibrio. Giulietta che s’attacca al vino mentre Romeo comincia il suo monologo è un valido esempio.

Ed è proprio nella rappresentazione dell’adolescenza che film e opera danno il meglio di sé. Lo stesso Romeo, banderuola di passioni, preso in giro da Mercuzio, assume ai nostri occhi un’aura di sacralità. Purezza. Egli è puro sia quando ama Rosalina, sia nel momento in cui vede Giulietta. Innocente perché estremo. Bianco o Nero. Come la scelta di Branagh e Caron sottolinea, è come se le estremità garantissero un passaporto per il cielo. E non è l’età che conta. No, perché Mercuzio, il festante, arguto, attaccabrighe Mercuzio, è un distinto signore di settant’anni (quasi 80) che non ha mai imparato la maturità. E questa sua mancanza lo rende libero, invincibile ed eterno.

Per concludere…

Estremi, dunque. Romeo and Juliet – come del resto molte altre opere del Bardo – è una tragedia di estremi. Passioni pure, perfette perché non intaccate da raziocinio, calcoli, malizia. Branagh coglie bene questo aspetto. L’eternità di una storia che si rispecchia nella sua fugacità, nel suo sparire dietro l’angolo nel giro di qualche giorno. Che, se fosse durato di più, non avrebbe potuto essere un amore così perfetto.

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