Point Break – Recensione: il travisamento del 2015 di un titolo cult del 1991

Chi è andato al cinema a vedere Point Break, nel suo remake del film originale, di certo non si aspettava un film cervellotico, ma arrivare a vederlo per scrivere la recensione di una vera e propria delusione, è piuttosto avvilente.

L’idea di rivisitare diversamente trama e motivazioni dell’azione può essere legittimo, anche in un remake, ma la cosa che manca, a prescindere, è la trama. Il collegamento tra gli eventi, tra le frasi. Il montaggio è mal sincopato, salta da un punto all’altro senza nessuna continuità. Non è una questione di “lasciar sospeso”, è una questione di confusione. La stessa che rimane allo spettatore alla fine, che non fa altro che chiedersi “Perché?”

Perché tante scene sono state mal sfruttate, anche in termini di trama, quando avevano avuto una sensata introduzione? Perché i dialoghi sono così completamente insensati in un filologico nonsense? Tutto il film pare, oggettivamente, una serie di clip di sport estremi e di feste con belle donne. Si aggiunge qualche scazzottata (non abbastanza) e una feroce sparatoria in Italia (in cui la sceneggiatura brilla di un agente che, nel bel mezzo del fuoco, si alza in piedi dalla propria copertura e pronuncia ad alta voce “Fermi o sparo”, per essere clamorosamente freddato in meno di un secondo), oltre a un paio di scene di surf che vogliono richiamare quelle viste nel 1991, ma non vi arrivano nemmeno lontanamente.

Certo, il primo Point Break non era un film da Oscar, ma era un film di azione con un senso e una trama. Qui manca tutto. A volte persino l’azione pare deludente, o messa nel mezzo a riempitivo. Lo stereotipo dei personaggi è così disarmante che ci si ritrova a borbottare le battute in maniera prevedibile, persino azzeccando i tempi di sospensione. Non c’è attesa, non c’è aspettative, né suspense né colpi di scena. E purtroppo in Utah (Luke Bracey) sembra volerci essere una impronta che ricorda in movenze, posizioni e modi di fare, quelle del compianto Heath Ledger: troppe le volte in cui ricorda lui, forse alla ricerca di uno stile “buono e dannato” che però non s’avvicina neanche allontanante a quello originale di Keanu Reeves, come il Bodhi di Édgar Ramírez è anni luce lontano dal carisma di Patrick Swayze.

113 minuti di film che decisamente potevano essere trascorsi più piacevolmente in pizzeria tra amici.

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