Pitza e datteri: Recensione in anteprima della commedia di Fariborz Kamkari

Dopo una pausa durata 4 anni, il regista iraniano Fariborz Kamkari torna alla regia con Pitza e datteri, commedia sulla convivenza fra cultura occidentale e orientale. Sicuramente molto coinvolto nella situazione attuale che vede una crescente paura nei confronti del diverso e in particolare del musulmano, il regista sceglie una storia alla base perfetta per la sua sensibilità, essendo iraniano ma attivo principalmente in Europa e soprattutto in Italia. Kamkari ambienta così la sua storia a Venezia, dove la piccola comunità islamica del luogo ha perso la propria moschea, trasformata in un salone di bellezza da una suadente musulmana emancipata e pienamente integrata nella cultura occidentale. In aiuto del gruppo giunge un giovane Imam che segue ciecamente i precetti impartitigli dal proprio maestro, radicali e che dipingono il mondo occidentale come il male assoluto.

La commedia si snoda così attraverso i maldestri tentativi degli sfortunati protagonisti di riprendersi la moschea, in mancanza di un luogo di culto alternativo. Kamkari cerca di modellare una tipica commedia italiana, e sebbene i tempi non siano sempre calcolati con perizia e a volte Kamkari, anche sceneggiatore del titolo, voglia strappare risate con battute forzatamente inserite nel contesto, è senza dubbio da ammirare la voglia di far sorridere lo spettatore senza tuttavia cadere necessariamente nello scurrile e accorpando anzi temi delicati.

QUI LA CONFERENZA STAMPA DEL FILM CON IL REGISTA E IL CAST

Significativa è senza dubbio l’ambientazione veneziana, crocevia storico di culture differenti, la cui rappresentazione non è quella tipica da cartolina, bensì una città quasi labirintica, i cui canali hanno sì importanza, ma attraverso la quale i personaggi si muovono sgattaiolando fra calli e ponti. Inaspettata poi la virata à la Ladykillers, che vede la comunità islamica veneziana attuare tentativi di omicidio ai danni della parrucchiera con esiti disastrosi. Raccontare la realtà sconfinando a volte nel grottesco rende più immediato sorridere sulla fobia del prossimo, che a pensarci affonda le proprie radici nel surreale; e se da una parte abbiamo l’enfatizzazione di alcune scene, dall’altra troviamo dei personaggi in gran parte macchiettistici, rappresentanti di culture apparentemente inconciliabili, ognuna coi propri difetti.

In Pitza e datteri troviamo tutti gli elementi cardine della filosofia di Kamkari e immancabile è il ritratto di donne forti ed emancipate, spesso detentrici di ruoli chiave, determinanti per consentire agli uomini di aprire gli occhi e muovere i passi verso la risposta corretta. Gli uomini, infatti, sono perlopiù inetti; magari di buona volontà, ma incapaci da soli di trovare una soluzione. Emblematico è il personaggio di Gepi, interpretato da Giuseppe Battiston, aristocratico veneziano decaduto che si converte all’Islam alla ricerca di un posto a cui appartenere; lo stravolgimento iconografico di cui è protagonista Bepi nel film, e che non sto qui a svelare, mette in gioco una sovversione dei ruoli inaspettata, che rende ancor più evidente l’universalità delle motivazioni alla radice del radicalismo.

Proprio Giuseppe Battiston si distingue dal resto del cast; gli altri attori, forse anche fin troppo schiavi del macchiettismo dei propri ruoli, finiscono spesso per calcare troppo la mano e non sempre riescono a ottenere la naturalezza richiesta. Lo stesso carattere poco elaborato dei personaggi avrebbe potuto avere una funzione più se avessimo assistito a una trasformazione nel corso del film; l’assenza di questa metamorfosi si scontra con l’intenzione del film, secondo cui una convivenza fra mondi apparentemente opposti sarebbe possibile in un clima di accettazione reciproca: il messaggio di speranza fulcro del titolo scaturisce così all’improvviso, senza un progressivo cambio di prospettiva dei protagonisti, le cui azioni e riflessioni, soprattutto nel finale, sembrano accelerate per l’esigenza di chiudere il film.

Pitza e datteri è per questo un titolo che preserva molti degli errori comuni alla recente commedia italiana, fra cui una frequente inserzione di deboli scenette comiche e una narrazione frettolosa e in diversi punti ingenua. Il film accetta però la sfida di rappresentare uno dei maggiori turbamenti che scuote la società odierna con un tono non necessariamente pesante; un titolo che accoglie questioni politiche e soprattutto religiose, ma che si concentra più sulle problematiche sociali e sulla visione spesso limitata degli uomini, occidentali o orientali che siano, origine dei divari ideologici inconciliabili. Voler trattare un tema simile consente alla pellicola di distinguersi, anche per la squadra interculturale che l’ha realizzata e questo, in un periodo in cui l’Italia è costretta a riciclare idee, può rappresentare un motivo già valido per cui guardare a questo tentativo con approvazione.

Pitza e datteri uscirà il 28 maggio. Diretto da Fariborz Kamkari, anche co-sceneggitore assieme ad Andrea Leotti, il cast comprende Giuseppe BattistonMaud Buquet, Mehdi Meskar, Esther Elisha, Hassani Shapi e Giovanni Martorana.

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