Nymphomaniac – Recensione

Lars von Trier ritorna sugli schermi con l’acclamatissimo e provocatorio “Nymphomaniac”.
La pellicola si apre col ritrovamento di una pseudo-ninfomane che, stesa a terra malmenata in un vicolo, viene accolta dallo studioso Seligman all’interno della propria casa.
La ragazza inizia a raccontare della propria vita, delle proprie esperienze sessuali, autoproclamandosi, seppur senza referti clinici, una ninfomane.

Il regista danese sceglie, di nuovo, una protagonista donna dopo il successo di “Melancholia”, interpretato da Kirsten Dunst nel 2011, nonché vincitrice del premio come migliore attrice protagonista femminile dello stesso lungometraggio.
Anche in questo primo capolavoro il tema del sesso è sperimentato in una delle scene più improbabili del film: Justine (Kirsten Dunst) ha un rapporto sessuale adultero in un campo da golf durante la sua festa di matrimonio, che ricorda, per altro, in maniera impressionante, la scena di un altro film (“Il giardino delle vergini suicide” di Sofia Coppola) in cui la ragazzina protagonista perde la verginità in un campo.

Von Trier ha sempre sperimentato, nel corso della propria filmografia, la tematica del rosa sotto diversi aspetti. Il regista sembra voler comprendere e, allo stesso tempo, cercar di spiegare il genere femminile: indaga, analizza, fa ricordare, propone immagini e suggestioni. E lo fa rispettando i canoni di “Dogma 95”, manifesto che firma, appunto, nel 1995, riguardante la scarnificazione del montaggio e l’uso della presa diretta acustica. Sequenze veloci, telecamere traballanti e suoni sporchi rappresentano il tratto distintivo von Trieriano.
Con “Nymphomaniac” si cerca di raccontare l’intero genere femminile, attraverso la sessualità di Joe (la protagonista)?
Il regista dimostra che anche la donna può avere rapporti sessuali senza provare sentimenti, prerogativa piuttosto maschile. Nel film viene spiegato, molto banalmente, il rapporto incestuoso e tipicamente edipico della protagonista nei confronti del padre e quello scontroso e di rivalsa con la madre. È proprio a causa di questo che la protagonista si rifugia nel sesso estremo e senza complicazioni: “Non sento niente” dice in chiusura, quando sembra aver trovato la sua anima gemella.

Il film viene diviso in 2 volumi (questo uscito nelle sale è il volume 1), rispettivamente di 5 e 3 capitoli che corrispondono al numero di colpi che la protagonista subisce, all’inizio del film, per perdere la verginità vaginale e anale.
I numeri e la geometria sono elemento essenziale di questa pellicola così come di altri lavori di von Trier. Se in “Dogville” mette in scena un teatro sadico geometrico di sezioni auree, col prosieguo ogni abitante di “Manderlay” è rappresentato attraverso da un codice matricola. Con “Nymphomaniac” il regista scompone l’artificiale e prorompente sessualità di Joe. La matematica dei colpi si mischia alle sezioni erotiche, la sequenza di Fibonacci diventa un rituale per arrivare all’orgasmo, Bach si confonde ai fellazi, la pesca parallelizza la fase di flirting per far “abboccare pesci”, il tutto in un divenire di “eropornismo” religioso: “Mea vulva, mea maxima vulva”, recitano Joe e le sue amiche durante la loro adolescenza.

Nymphomaniac: una visione sapiosessuale?

Più la protagonista trasgredisce, più il cinema si mischia al porno in un connubio cinematografico tra erotismo estremo, musica da camera, pesca e aritmetica.
Se Joe racconta allo studioso delle sue prestazioni sessuali su treni, delle gare con le amiche, dei fellatio fatti, degli anilingus ricevuti, lui concretizza le azioni ninfomani della protagonista in un crescente e sensuale ‘sapiosessualismo’ (ovvero quell’attrazione sessuale quasi esclusiva per l’intelligenza, piuttosto che per altri aspetti).

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