New York Academy – Recensione: finzione d’adolescenza

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New York Academy è un film che non si discosta dagli altri del suo genere (v. Step Up e sequels). Storia melliflua, romanticismo già visto in troppe salse, personaggi poco credibili e regia che cura le cose sbagliate. Su ogni cosa, patina di artefatto e falsità che non ha la sfacciataggine necessaria per essere fil rouge.

New York Academy: Musica e danza su struttura troppo finta

Ruby (Keenan Kampa), bionda provinciale, vince una borsa di studio per un’accademia di danza a New York. Brava nella classica, pessima in moderna. Johnnie (Nicholas Galitzine), immigrato inglese che suona il violino nella metro per guadagnarsi i soldi per comprarsi la cittadinanza. I due s’incontrano per caso. E scatta subito qualcosa. Lei lo vuole aiutare. Lui, tenebroso e maledetto, non ne vuole sapere. Le necessità li porteranno a collaborare per un concorso di danza/archi che permetterebbe loro di risolvere ogni problema. Una crew di hip hop formata da amici del ragazzo è pronta ad aiutarli. Ma si trovano a confronto con i due migliori della scuola.

Come da canone dei film del genere, ogni occasione è buona per ballare e suonare. Ma i pretesti sono troppo deboli, e le situazioni troppo al limite dell’assurdo. Non si prova neanche a giocare sul contrasto: anche la sceneggiatura segue la via della finzione. Troppi personaggi macchiette. Compagna d’appartamento della bionda Ruby che dopo due minuti è già sua bestfriendforeverandever. Arrogante e perfettino suonatore di violino nemico di Johnnie in amore e in musica. Insegnante di classica vecchio e saggio (con un tocco di struggle storico). Preside con scopa “nel sedere” (“culo” è una parola tanto complessa?). Troppe situazioni visibilmente artificiose. La messa in scena dei sentimenti dei due ragazzi ha l’odore stantio di telenovela. Adolescenza elementare fatta di frasi fatte e struggimento da incompresi.

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A tratti, la regia gioca bene su volti e particolari, ma troppo spesso si adegua a standard già visti. Attenta a piroette, salti e ai protagonisti (per apprezzarne la “figosità”), dimentica lo sguardo d’insieme. Se le coreografie risultano apprezzabili, nella maggior parte dei casi non si può dire lo stesso dell’estetica della scena (con le dovute eccezioni del flash mob-duello metropolitano, e della scena finale).

Per concludere…

Può darsi che l’esplicita irrealtà di certe situazioni sia voluta, ma per risultare efficace avrebbe avuto bisogno di un trattamento più leggero e più netto. Storia “dalle stalle alle stelle” con amore, conflitto, problemi sociali e individuali, e pensieri sulla natura dell’arte. C’è tutto, ma poco riesce ad uscire dal manto dell’irreale.

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