Prima di dare un giudizio al nuovo film di Giorgio Amato (Circuito Chiuso, The Stalker) bisogna partire da un presupposto: Il Ministro è un piccolo film, dal budget contenuto, girato in 3 settimane. Alla luce di queste informazioni, bisogna trarre le proprie conclusioni analizzando i vari elementi. Prima di tutto, una nota positiva va data alla performance degli attori: Gianmarco Tognazzi, Alessia Barela, Fortunato Cerlino, Edoardo Pesce, Jun Ichikawa e Ira Fronten svolgono il proprio lavoro in modo egregio dall’inizio alla fine. Nonostante i loro ruoli non siano assolutamente positivi (sono tutti meschini, anti-eroi che approfittano delle altrui debolezze, capaci di macchiarsi di qualsiasi bassezza), il cast ha saputo rendere giustizia dando loro una particolare credibilità. Gianmarco Tognazzi è Franco Lucci, un industriale in difficoltà che organizza una cena per corrompere il ministro Rolando Giardi, interpretato da Fortunato Cerlino, con vino costoso, una escort da 3000 euro a notte, cocaina e una valigetta piena di banconote; Alessia Barela è Rita, la moglie di Franco, una vegana convinta molto attaccata al suo status di ‘signora’; Edoardo Pesce è Michele, il socio di Franco nonché fratello di Rita, un sempliciotto pronto a salire sul carro dei vincitori; Ira Fronten è Esmeralda, la domestica di casa Lucci, determinata a non perdere il proprio posto di lavoro; Jun Ichikawa, infine, è Zhen, una ballerina di burlesque chiamata a soddisfare i desideri del ministro…
La svolta del film si ha dopo pochi minuti: la escort ingaggiata da Franco e Michele viene investita e bisogna così ripiegare su Zhen. Quest’ultima, tuttavia, è molto più furba e scaltra di quanto i due uomini d’affari si sarebbero potuti immaginare e dà una piega inaspettata alla serata: anche lei vuole guadagnarci, così come del resto si potrebbe dire per ciascun personaggio (persino quelli secondari, come le guardie giurate del ministro). Il ministro, d’altro canto, impersona tutto ciò che di spregevole possa racchiudersi in un politico: corruzione, mancanza di ideali, fama di potere, menefreghismo.
Michele, poi, è la quinta essenza del luogo comune, lo stereotipo dell’italiano medio pieno di pregiudizi nei confronti di immigrazione e stranieri, lavoro, Islam e calcio. Se gli ingredienti sono approvati a pieni voti, lo stesso si può dire per la trama: attorno alla tavola, in un appartamento di una famiglia ‘privilegiata’, si svolgono quei giochi di potere che accomunano l’animo umano dal Medioevo ad oggi. Sesso, droga, bustarelle e tradimenti condiscono la vicenda, che scorre via piacevole. Buone anche le musiche, che aiutano a dividere i vari momenti del film. I limiti maggiori stanno nell’esecuzione, che probabilmente mostra le problematiche legate a budget e tempistiche ridotte all’osso. Pur non dovendosi aspettare un film memorabile, vale la pena supportare questo cinema italiano indipendente, irriverente e capace di criticare i propri difetti. D’altronde, come ha detto lo stesso regista Giorgio Amato nella conferenza stampa del film, chi non si comporterebbe come i suoi personaggi se avesse la possibilità di farsi aiutare da un ‘amico potente’? Se la riflessione finale è d’obbligo, allora probabilmente l’intento della pellicola è stato rispettato.