Man in the dark – Recensione: buio, tensione e ovvietà

Man in the dark è l’horror che ti aspetti. Nei primi dieci minuti cogli trama, intreccio ed epilogo. Neanche i colpi di scena riescono a scalfire la sua prevedibilità. Nonostante ciò, riesce a difendersi, con una buona atmosfera che regge la tensione fino a tre quarti. Poi, il buio del titolo si dirada per far posto a un buio d’idee.

Man in the dark – colpi di scena che ammazzano una buona atmosfera

Banda di tre ragazzotti ladri molto attenti a non farsi beccare. Si rasenta lo stereotipo, fino a cascarci dentro. Lei (Jane Levy) sogna di lasciarsi alle spalle una famiglia disastrata. Lui (Daniel Zovatto, già visto in It Follows), macho da ghetto, pronto a tirare fuori palle e pistole. L’altro (Dylan Minnette), timido, introverso, segretamente (più o meno…) innamorato di lei. Si prospetta un colpo sicuro: in un quartiere fantasma, un vecchio veterano cieco (Stephen Lang) tiene al sicuro i soldi versati dalla famiglia di un ragazza che gli ha ucciso la figlia in un incidente. Paranoico, si chiude in casa con lucchetti e serrature e un rottweiller a fare da guardia. I tre vanno all’azione.

Casa buia. Movimenti di camera fluidi, disarmanti, che giocano con i particolari. Si spera (inutilmente) che non siano telefonate per la trama ventura. Screzi nel gruppo, che vengono messi da parte quando il vecchio li coglie in fallo. Si scopre che non è poi così tanto indifeso. Fuori il primo. Ne rimangono due.

Corsa nella penombra, a cercare soldi e svelare misteri. Buon ritmo per tre quarti del film. Buone le scene di buio e la figura atletica e inquietante del vecchio. Poi, ci si perde nei colpi di scena. Uno, due, tre. Al quarto cominci a chiederti perché non potevano chiuderlo prima. Come se una mano avesse staccato la spina della tensione. L’atmosfera svanisce, e rimangono spiegazioni stridenti e sproloqui inutili.

Per concludere…

Particolari esasperati, poco realistici (la resistenza e l’olfatto del vecchio, alcuni dialoghi troppo compiaciuti) che però non mordono. Né convincono. Manca la complice irriverenza di altri horror targati Raimi (vedi Drag me to hell o il classico La casa), qui solo produttore. Non si gioca, si racconta. E il racconto di una storia già raccontata mille volte rischia di diventare noioso.

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