Si concluse 10 anni fa il viaggio di Frodo e dei suoi amici ne Il Signore degli Anelli: Le due torri e ora Peter Jackson firma l’epilogo della sua nuova trilogia ambientata nella Terra di Mezzo con Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate.
Un progetto mastodontico, che Jackson aveva intenzione di portare sullo schermo già negli anni ’90, prima che gli venisse proposto di realizzare la Trilogia dell’Anello, saltando cronologicamente le avventure di Bilbo Baggins. Raccontare e chiudere quello che è in fin dei conti il prequel di una delle saghe più amate e premiate della storia del cinema, deve senza dubbio essere un onere particolarmente pesante, ma Jackson vi si approccia con la perizia che può vantare solo chi vive in questo mondo fantasy da più di una decade.
Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate riprende dove si concluse il capitolo precedente, con Bilbo e la Compagnia dei Nani ai piedi della Montagna Solitaria dopo aver risvegliato il terribile drago Smaug, che è ora pronto a scatenare la propria ira sugli inermi abitanti di Pontelagolungo.
Jackson non ha paura di iniziare col botto e in quella che possiamo effettivamente definire come l’introduzione del film, ci si para davanti la più totale distruzione per mano del terribile Smaug. Questi primi minuti sul grande schermo sono fantastici, con le fiamme che consumano la città e la gente in fuga per salvarsi. La drammaticità è ben gestita, nonostante un paio di situazioni forse eccessivamente caricate, e oltre a funzionare piuttosto bene come scena in sé, è propedeutica all’intera struttura della pellicola.
Sì, perché nelle sue oltre due ore di durata, La Battaglia delle Cinque Armate si può suddividere in tre atti saggiamente distribuiti. Dopo la serrata cavalcata iniziale, il ritmo si distende notevolmente, concentrandosi sulla Compagnia dei Nani. Tutto ciò a cui assistiamo a questo punto non è altro che un’escalation continua culminante nel conflitto del titolo; mantenere l’azione su schermo a un livello altissimo per oltre 120 minuti sarebbe stata una mossa ingenua, non nelle corde di Jackson, che avrebbe probabilmente sfiancato anche il più fedele dei fan. La macchina da presa si posa sui protagonist della vicenda, sui Nani, sugli Elfi e sugli umani, costruendo maggiormente il contesto per la battaglia finale. Nonostante in questa parte centrale non ci siano sequenze movimentate, a parte un paio di eccezioni, l’attenzione è comunque mantenuta vigile grazie al deteriorarsi dell’animo di Thorin Scudodiquercia, Re dei Nani. Il cuore del sovrano è lentamente macchiato dalla malattia del drago e la brama di ricchezza finisce per offuscargli la mente; la rappresentazione di questo Re Folle è azzeccata, grazie anche all’interpretazione di Richard Armitage, e collabora ad accrescere la tensione per lo scontro sempre più vicino. Spostandoci su Bard, su Gandalf e sulle orde di orchi in marcia, l’azione risulta comunque varia e non stagna più di tanto, impreziosendosi di personaggi come l’algido Thranduil e il venale Alfrid.
Quando sembra che Jackson se la stia prendendo molto comoda, ecco che giunge in soccorso dello spettatore l’epica battaglia. Le truppe si schierano sul campo e lo scontro ha presto inizio. Da qui in poi, non c’è spazio per altro se non per le miriadi di soldati che cadono al suolo; un’invasione di creature fantastiche, tra cui troll, permettono al regista di giocare un po’ con i combattimenti, a volte alleggeriti da espedienti quasi comici, sempre per non mantenere la drammaticità a livelli pericolosamente alti; Peter Jackson non rifugge la violenza e sebbene non si perda in zampillanti spargimenti di sangue, mostra senza remora decapitazioni, pugnalate al cuore e via dicendo, con il sangue sempre presente, seppur più come decorazione che altro.
Le proporzioni della battaglia sono effettivamente mastodontiche e la Weta Digital spreme tutto il suo arsenale per dar vita a una moltitudine di mostri e soldati e ricreare una feroce lotta che non debba sentirsi in imbarazzo se paragonata al Fosso di Helm. La battaglia dura e non poco, e se non si è appassionati del genere non è escluso che vedere orchi e nani darsele di santa ragione finisca per annoiare un poco. Concentrarsi a tratti sui personaggi è comunque un piacevole diversivo dal continuo massacro e per questo il pubblico non può che ringraziare.
Giunti quindi all’epilogo, la scelta di aver diviso in tre capitoli questa avventura assume più senso, soprattutto alla luce della volontà di ricostruire una battaglia finale come questa e di voler concedere più spazio a determinati personaggi, pur prendendo alcune distanze dal romanzo originale. Nel complesso, perciò, il risultato è apprezzabile e il lavoro dietro la costruzione di questo mondo è palesemente superbo, nonostante l’opera di Jackson soffra della difficoltà di raggiungere lo spettatore poco avvezzo a creature fantasy e combattimenti interminabili. È ovvio che chiunque si avvicinasse a questa saga, dovrebbe essere ben consapevole di ciò che sta per vedere, ma è un’osservazione obbligatoria nel caso anche i meno appassionati vogliano dare una possibilità a questa trilogia.
Tecnicamente, dunque, sono pochi gli appunti da muovere al film: escludendo il 3D, a volte interessante per il suo senso di profondità, ma altre volte quasi deleterio, infastidendo l’occhio e rendendo i contorni dei personaggi confusi, il grande squilibrio che si nota maggiormente è quello del sonoro. L’attacco di Smaug e i momenti più concitati fanno tremare la sala grazie ai potenti suoni, ma questi ultimi finiscono a volte per essere fin troppo invasivi, addirittura coprendo alcuni dialoghi. Questa è sicuramente la nota che durante la proiezione lascia più perplessi, ma a parte ciò, Jackson e il suo staff realizzano un lavoro colossale per cui non si può far altro che togliersi il cappello, soprattutto per non aver fatto mangiare completamente il film dalla computer grafica. Passando oltre gli elementi tecnici, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate si dimostra a volte debole in alcune scelte narrative, schiavo forse del retaggio del genere, e di alcuni momenti che vedono protagonista proprio il nostro hobbit Bilbo. Martin Freeman, pur essendo un attore dotato, viene qui lasciato piuttosto a margine e, all’apice dei momenti drammatici, il suo personaggio sembra fregarsene (anche espressivamente) delle tragedie che stanno accadendo attorno a lui, per poi cambiare improvvisamente umore e lanciarsi in un pianto. Se è vero che la natura degli hobbit è piuttosto peculiare, questo fulmineo passaggio da menefreghismo a disperazione appare fin troppo inverosimile e inspiegabile.
Nonostante ciò, se avete apprezzato la visione di Peter Jackson in questa nuova trilogia, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate probabilmente vi lascerà soddisfatti. Contiene tutto ciò che un fantasy dovrebbe avere: momenti altamente drammatici, alcuni più leggeri, creature fantastiche a non finire, battaglie su larga scala e conflitti interiori. Pertanto, sebbene sia un film che indipendentemente non brilli più di quel tanto e un’attitudine verso il genere è ovviamente preferibile, questo ultimo capitolo chiude in modo appropriato la storia di Bilbo e dei suoi amici, definendosi come l’epico finale di un grandioso inizio.
Diretto da Peter Jackson, Lo Hobbit – La Battaglia delle Cinque Armate arriverà nei cinema il 17 dicembre 2014 e vedrà protagonisti le stelle Benedict Cumberbatch, Evangeline Lilly, Martin Freeman, Ian McKellen, Luke Evans, Cate Blanchett, Hugo Weaving e Orlando Bloom.