È un concetto quasi filosofico che viene in mente, una sorta di meta-critica, cioè una critica del film su un critico, e che critico: Roger Ebert. Autorevole giornalista al servizio del mondo cinematografico tramite il suo famoso programma televisivo, condotto insieme a Gene Siskel, e allo storico giornale Chicago Sun-Times, col quale intraprese un sodalizio dal 1967 al 2013. Grazie alla sua immensa cultura, intelligenza e abilità, ottenne il massimo riconoscimento in ambito giornalistico: il premio Pulitzer nel 1975, l’unico, fino ad oggi, assegnato per la critica. A lui si deve la nascita della moderna figura del critico cinematografico, decidendo di cimentarsi in un campo, fino al suo arrivo, snobbato e più volte sottovalutato.
Life Itself ripercorre la vita di Ebert dai primi passi nel mondo del giornalismo fino agli ultimi momenti della sua vita. Girato da Steve James (autore di Hoop Dreams), il film deve però, sin da subito, fare i conti con la precaria salute di Ebert, che combatteva dal 2002 contro il cancro; difatti la prima immagine proiettata è l’inquadratura dell’ospedale dove era ricoverato il critico, con la voce del regista in sottofondo, il quale racconta che 4 mesi prima dell’inizio delle riprese, il critico, nel loro incontro, accusava un dolore al fianco che lo tormentava da qualche giorno, poi rivelatosi un tumore. Era questo l’inizio dell’ultimo periodo di vita di Ebert, il suo “terzo tempo”, che durerà, per l’appunto, 4 mesi, ma che nonostante tutto non minò minimamente la sua incrollabile voglia di vivere e la sua sferzante ironia, decidendo lo stesso di essere filmato durante la sua riabilitazione, a raccontarsi tramite il suo computer, la sua voce, e a rispondere alle numerose domande del regista. Ci si ritrova, dunque, a vedere non più, come programmato, il film su Roger Ebert, “interpretato” da lui stesso, ma il film su Roger Ebert interpretato da chi lo circondava: gli amici, i colleghi, i registi, gli stessi critici, incorniciato dalla voce narrante di James e dalle riprese degli ultimi periodi di vita di colui che cambiò il modo di vedere il cinema.
Una vita piena quella di Roger Ebert, ripercorsa più che sul piano professionale, su quello umano, testimoniando il suo grande sarcasmo, il suo egocentrismo, la sua ironia, la sua indole pacata, ma forte ed ambiziosa allo stesso tempo, tanto da riuscire a spostare gli equilibri culturali, da New York e L.A., a Chicago, rendendola così centro vivo e pulsante della cultura cinematografica, grazie al suo programma di critica, presentato insieme al compagno di mille avventure: Gene Siskel, col quale si scontra, si punzecchia, litiga, ma, che alla fine rispetta e considera come insostituibile.
A raccontare della sua incredibile vita non solo i familiari come Chaz, la moglie che lo accudì e gli diede la forza di continuare a lottare, ma anche grandi nomi del cinema internazionale: Martin Scorsese, che racconta di come lo stesso critico gli abbia salvato la vita, tirandolo fuori dalla spirale della droga premiandolo per i suoi lavori e dandogli così la voglia di continuare a lavorare senza più bruciarsi; Ramin Bahrani, Werner Herzog, Errol Morris, Ava DuVernay e tanti altri.
Vincente è il modo con il quale il regista ha deciso di raccontare la storia: mischiare il passato ed il presente, saltando con estrema naturalezza dalle esperienze vissute dal critico fino e tornare al presente con innata abilità, senza annoiare, lasciare in sospeso o perdere lo spettatore; è un cambio talmente automatico che non viene quasi percepito, il tutto aiutato dalla geniale idea di trascrivere le domande scambiatesi via mail con il critico e rileggerle con il sintetizzatore vocale che ha accompagnato Ebert nel suo ultimo periodo. Giusta anche la decisione di mostrare sin da subito gli ultimi momenti di Ebert; in lavori di questo genere, infatti, il passo per creare un’emozione quasi di pietà verso il suo protagonista è abbastanza semplice, ma, optando per la scelta di aprire proprio con il periodo più “buio”, senza però mai perderlo, ha permesso di creare verso il critico un senso sì di empatia, ma misto a forte rispetto, per la sua vita e per il suo modo di affrontare ogni problema.
È il trionfo della vita pura e semplice, le amicizie e gli amori, e non il lavoro ed i successi personali; è un meraviglioso viaggio attraverso la vita di chi ha considerato il cinema il connubio perfetto tra magia e realtà, che ha deciso di chiudere con queste parole la sua avventura:
“… in questi giorni di riflessione, vi voglio dire grazie ancora di aver preso parte a questo viaggio con me. Ci vediamo al Cinema!”.
Quindi non chiamiamolo, riduttivamente, documentario, ma semplicemente Life Itself.
Il film, diretto da Steve James e con produttori esecutivi Martin Scorsese e Steven Zaillian, uscirà nelle sale italiane il 19 febbraio.