L’estate addosso – Recensione: adolescenza altalenante

L’estate addosso ci ricorda Che ne sarà di noi?. Ce lo deve ricordare. Amori di maturandi, vacanze estive, senso di un carpe diem che dovrebbe durare in eterno. Ma che si chiude silenzioso non lasciando alcuna traccia, se non un vago ricordo. Muccino ammicca a metà, al film di Veronesi e ai suoi esordi (L’ultimo bacioCome te nessuno mai). Ci lascia intravvedere una maturazione, nello sguardo, nel distacco. Sa trovare modi e tempi giusti per presentare le vicende. Sa trovare il giusto equilibrio tra ironia ed emotività nelle dinamiche d’amore omosessuale. Ma solo per metà.

L’estate addosso – da un tiepido vento di indagine emotiva a burrasche d’adolescenza cieca

Marco (Brando Pacitto), maturando romano, non ha soldi per andare in vacanza. Per un fortuito incidente in motorino riuscirà ad ottenere abbastanza per un viaggio in California, a San Francisco, a casa di due conoscenti di un suo amico. Quello che non sa è che l’amico ha invitato anche Maria (Matilda Lutz), compagna di scuola con cui Marco non ha praticamente alcun rapporto. I due si prendono subito male. Entrambi introversi, lui finto viveur con dubbi su morte e omosessualità, lei rigida, frigida, bigotta. Si trovano ospiti da una coppia di ragazzi gay, Matt (Taylor Frey) e Paul (Joseph Haro).

Inusuale scelta di un bilinguismo più orientato all’americanizzazione. Muccino mette in qui in scena le sue due anime, italiana e made in US. Le coordina bene, fino a che sembra perdere interesse per la cultura a favore di un sentimentalismo diretto.

Prima scandalizzata dall’omosessualità, poi incuriosita dall’umanità dei due ragazzi, Maria si avvicinerà molto a Matt. Marco stringerà una forte amicizia (trattata più superficialmente) con Paul. Ma i suoi pensieri (e le sue masturbazioni, mentali e non) sono rivolte all’unica ragazza. Gli schemi mentali saltano, ma Muccino ci spaccia fuochi adolescenziali di gelosia e innamoramento come qualcosa di puro, genuino, scevro da mentalismi e imposizioni culturali. La colonna sonora di Jovanotti, forzata e didascalica, non aiuta la voluta genuinità dei rapporti. La regia rende però bene l’estroversa sensorialità dell’attimo, l’esserci qui e ora, con amici e persone che ami, senza pensiero per futuro o passato. Gli attori reggono, danno vita ai loro personaggi rispettandone i limiti, senza mai trascinarli in un sentimentalismo parossistico. I personaggi, però, non sempre convincono nei loro cambiamenti. Troppo improvviso il passaggio di Maria da preghiere e ribrezzo al “fanculo” urlato alla nebbia. Troppo lasciato in sospeso il problema della sessualità e dei voli pindarici di Marco.

Per concludere…

L’estate addosso porta il visibile marchio di Muccino, nel bene e nel male. Da un lato, c’è un acuto occhio genitoriale, partecipe ma non invasato, che delinea bene pene e gioie dell’adolescenza. Dall’altro, si giochicchia con le emozioni trite da teen movie italiano. Dapprincipio Muccino le studia, con garbo, amorevolezza. Leggerezza. Poi ci finisce troppo dentro. L’amorevolezza diventa sconsiderato innamoramento. Poco lucido, troppo partecipato.

L’estate addosso c’ingolla di clichet giovanili, tra selfie, discoteche, shottini e miti di fughe. Ci riempie di massime sulla vita buttate lì senza rispetto. D’altro canto, però, ritaglia l’immagine di un’America più umana, più reale rispetto alle immagini patinate ed eccessive con cui ci inonda il cinema d’oltreoceano.

Il lavoro di ricerca sui sentimenti degli adolescenti riesce fino a che si mantiene la distanza dal lato emotivo. Nel momento in cui, invece, Muccino sceglie la strada dell’identificazione, l’emozione diventa brodosa bufera ormonale, senza scopo, senza senso e senza messaggio. Presentata bene, ma troppo ottusa per risultare incisiva.

Link adv