La battaglia degli imperi – Recensione

La battaglia degli imperi – Dragon Blade comincia con un’atmosfera da film storico sulle arti marziali. Combattimenti, giocosità e leggerezza da slapstick.

La battaglia degli imperi – Dragon Blade: potenza e limiti della semplicità

Poi, inaspettatamente, si vira verso una cupezza tragico-shakespeariana, sormontata dall’innesto del peplum. Su tutto questo uno strano e voluto gusto per il prevedibile, per la semplicità di gesti e intenti.

Trama

Via della Seta, 50 A.C.. Un gruppo di guerrieri capitanati da Huo An (Jackie Chan) tenta di mantenere la pace tra le 36 popolazioni del luogo. Complotti all’orizzonte. I guerrieri vengono ingiustamente accusati di contrabbando d’oro e vengono costretti ai lavori forzati ai Cancelli delle Oche Selvatiche. Qui giunge una legione romana guidata da Lucio (John Cusack), che fugge portando con sé Publio, il giovane figlio del Console accecato dal fratello parricida Tiberio (Adrien Brody). I romani accettano di dare una mano per la costruzione dei Cancelli, e i due comandanti stringono amicizia. È motivo d’inquietudine la notizia dell’arrivo di Tiberio. Forse vuole solo finire gli ultimi romani che gli si oppongono. Ma c’è il timore che i suoi piani vadano al di là di ciò.

Inno allo scontato

La regia di Daniel Lee preferisce indugiare sulla semplicità delle emozioni. Scene di fratellanza nella fatica, di canto, di amicizia. I dialoghi, agghindati di retorica facilona e per questo lasciati in secondo piano, non hanno né vogliono avere la forza di essere incisivi. Così come la trama, pur nella sua capriola a metà film in cui svela una vena tragica, rimane inessenziale. Prevedibile, scontata. Dare al pubblico quello che s’aspetta nel modo più chiaro possibile. Sembra essere questo il leitmotiv che guida il film.

Omaggi ed echi, da Il Gladiatore ai film sulle arti marziali di stampo orientaleggiante. Tra l’intricato gigioneggiare hollywoodiano e la pura logica dell’estetica, si sceglie una sintesi che unisca monumentalità scenografica e immediatezza. Riconosciamo immediatamente buoni e cattivi (Brody memorabile incarnato del canonico Male), e questo non può che darci sicurezza. I combattimenti non hanno il primo piano che ci s’aspetterebbe, ma risultano comunque incisivi. Mirabile lo scontro amichevole in cui si confrontano gli stili marziali di romani e cinesi. I due mondi diventano anche l’ovvio spunto per un messaggio universale. Scontato, banale, buonista, stucchevole, ma non per questo non necessario.

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