Non capita sempre, ma molti autori indipendenti non possono fare a meno prima o poi di mettere il piede nelle produzioni a stelle e strisce. È così che il cileno Pablo Larraín, dopo il banco di prova che fu No – I giorni dell’arcobaleno, è finito a dirigere Jackie, che dà voce a Jacqueline Kennedy (all’anagrafe Bouvier), interpretata da Natalie Portman, nel periodo che ha seguito l’uccisione del marito e Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy.
Con il tradizionale espediente dell’intervista, Larraín esplora l’animo duale della donna attraverso flashback e rimembranze raccontate in prima persona. Dal destino indissolubilmente legato a quello del marito, come dopotutto quello di ogni First Lady, Jackie, come usava farsi chiamare, viene ritratta in un’apprezzabile tinta di chiaroscuri. Chiaramente innamorata di JFK, decisa a renderlo immortale una volta morto, ma allo stesso tempo vanitosa e insicura, schiacciata dal cognome dei Kennedy e spaventata dal proprio futuro; l’inconciliabile duplicità delle sue apparizioni in pubblico e della sua vita privata.
Larraín, alla sua prima co-produzione hollywoodiana, ha forse un po’ le ali tarpate: gioca sul sicuro, allestisce un biopic piuttosto tipico in cui non vibra la mano del regista indipendente con cui si è fatto conoscere. Se sotto questo aspetto sarebbe stato auspicabile una maggior voglia di mettersi alla prova, il cileno supera la prova della direzione degli attori, complice anche un cast di nomi non indifferenti.
Completamente nella parte Peter Sarsgaard che veste i panni di un Robert Kennedy afflitto dalla perdita del fratello e allo stesso tempo frustrato per l’occasione troncata di poter veramente fare qualcosa per il Paese; altrettanto convincente Greta Gerwig (vista in To Rome With Love di Woody Allen e in Mistress America di Noah Baumbach, da lei anche co-sceneggiato) nel ruolo di Nancy Tuckerman, amica leale della protagonista con la quale condivide gioie e dolori.
E ovviamente lei, Jackie, interpretata da una Natalie Portman posata, la cui classe si contrappone alla sua voce che spesso si riduce a un sussurro; una donna fragile, emotivamente in tumulto, a cui la Portman riesce ad alternare una lucidità e ostinazione nel guardare al futuro che solo la moglie di John Kennedy poteva avere.
Pablo Larraín avrebbe certamente potuto osare di più, ma forse intimorito da questa sua prima prova nelle acque statunitensi (è il primo film in lingua inglese e con cast di attori hollywoodiani), il regista ha preferito una strada maggiormente sicura e con poche sorprese. Detto questo, Jackie riesce comunque in gran parte nella sua missione di raccontare la storia di una donna ritrovatasi consorte dell’uomo più potente al mondo senza essere preparata, ma determinata a vivere al meglio quegli anni di speranza al fianco del marito e a tentare di riprendersi la propria vita una volta vedova.
Nonostante i suoi difetti, tra cui una certa omologazione nella messa in scena rispetto ai tanti titoli americani dello stesso genere, Jackie è comunque un biopic ben architettato, capace di mettere insieme un cast in grande spolvero e a offrire uno sguardo sentito a uno dei personaggi più chiacchierati ma al contempo più schivi del secolo scorso.
Jackie è in concorso a Venezia 73.