Io prima di te – Recensione: polpettone indigesto e patinato

Io prima di te. Io prima di te, mio caro film, pensavo che le storie d’amore potessero avere ancora un minimo di dignità. E invece… invece la pellicola di Thea Sharrock è una summa di fastidiosi clichet. Un concentrato malsano di fantasie represse e inespresse, e di superficialità grondante melassa.

Io prima di te – anima rosa di sentimenti spiccioli

Inghilterra. Lei, Louisa (Emilia Clarke), una ragazza naif, tra calze colorate e scarpe coi fiori, rosa nell’anima, solare e ciarliera. Lui, William (Sam Claflin), belloccione rampante e miliardario che viveva la vita attimo per attimo, rimasto tetraplegico dopo un incidente. Ora intrattabile dalla barba lunga (che lo rende solo più sexy-selvaggio) su una sedia a rotelle.

Singulti da Quasi amici. Lei rimane senza lavoro e, per mantenere la famiglia, accetta di andare nella casa di lui per fargli da badante. Gaffe e incomprensioni. Lui all’inizio è diffidente, sgarbato. Poi, quando vede che lei è più testarda, accetta di aprirsi. Colto, le insegna a guardare i film con i sottotitoli (????). Lei gli insegna canzoncine per bambini. Piccole ridicole tragedie tra ex, migliori amici e fidanzati che diventano la scusa per ammorbarci di facili parole sulle relazioni umane. Tragedia vera in vista: Louisa scopre dai genitori di William (Janet McTeer e – sigh! – Charles Dance, il fu Tywin Lannister) che vuole andare in Svizzera per praticare l’eutanasia. Ora lei ha pochi mesi di tempo per convincerlo a cambiare idea, che la vita è bella e c’è sempre una ragione per andare avanti.

Regia abbozzata, infantile. Su ogni scena una patina da pubblicità. Si continuano gli ammicchi a Quasi Amici (concerto di Mozart in cui Lou strappa con i denti l’etichetta dalla camicia di Will… trasgressivo). Ma non si arriva da nessuna parte. C’è una superficialità esasperata nel trattamento dei sentimenti. Fotoromanzo o telenovela. I due protagonisti sono bambolottoni dalle espressioni esagerate che non vanno oltre la scorza di un’emotività elementare. Lei è clichet di una supposta fragilità femminile. Lui della viril cocciutaggine. Gli altri personaggi, marchette di saggi consigli e facili sentimentalismi.

Per concludere…

Quello che è peggio, però, è la profonda anima bigotta del film. Il finale prova a scansare l’accusa, ma alcune battute (“Sei complice!” accusa rivolta a Lou dalla madre quando viene a sapere che lui vuole uccidersi) sono semplicemente vergognose. Ma lasciando l’etica da parte, è tutto il film ad essere pervaso dal bigottismo. È bigotta la visione delle relazioni interpersonali. L’idea che solo i due protagonisti possano conoscere il vero amore, che solo con loro gli altri possano esprimere sentimenti veri. È bigotta la sceneggiatura, chiusa in una scatola di fantasticherie prettamente femminili, che non prova mai a fare i conti con la realtà dei fatti. È bigotta la regia, improntata a uno schematico amore da cartolina, succube inconscia di macigni culturali che diventano stereotipi eretti a bandiere.

Un polpettone in cui si mischia Quasi amici a ridicolaggini da 50 sfumature. Peccato che dal primo non prenda nulla di buono.

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