LA RECENSIONE NON CONTIENE SPOILER!
Un mostro gigante, appartenente a un’antica specie di dinosauri, attacca il nostro mondo dopo essere stato risvegliato dagli esperimenti nucleari, che lo hanno mutato. La bestia semina panico e distruzione, ma alla fine di tutto ci si domanda quale sia il vero “mostro destinato a distruggere il pianeta”, la preistorica creatura o l’uomo che, con la sua arroganza, crede di poter assoggettare la natura?
Tutto ciò era “Godzilla”, film del 1954 prodotto dalla Toho e diretto da Ishirō Honda, che rese più vivo che mai lo spettro delle armi atomiche in un Giappone ancora scosso dagli eventi di 9 anni prima. Vero e proprio monito all’umanità, la pellicola riscosse un grande successo, riuscendo sapientemente a coniugare valori simbolici e intrattenimento e dando vita a una delle saghe più longeve e iconiche del cinema.
A distanza di 60 anni dall’uscita dell’originale, gli americani decidono di riproporre “il Re dei mostri”, come viene definito, sul grande schermo e lo fanno affidando il lavoro al regista britannico Gareth Edwards, che nel 2010 aveva debuttato con “Monsters”, film fantascientifico a basso budget.
L’impresa è ardua, cercando di inserirsi nel rinnovato entusiasmo per i Kaijū eiga (film di mostri giganti), per cui è doveroso ringraziare Guillermo Del Toro e il suo “Pacific Rim” del 2013, e riscattandosi dal remake americano sul lucertolone gigante realizzato nel 1998 da Roland Emmerich, non proprio apprezzato dai fan in quanto, diciamocelo, di Godzilla aveva ben poco.
Edwards, da grande fan del kaijū, è intenzionato a proporre un degno erede dell’originale, richiamando l’opera di Honda più volte nel proprio film e decidendo di far cominciare tutto proprio in Giappone per poi spostarsi negli Stai Uniti. Lo sguardo introspettivo del regista regala tuttavia alla pellicola una nuova luce, nata dalla consapevolezza che la storia di Godzilla è innanzitutto un racconto sull’essere umano, di cui il mostro rappresenta la presunzione e gli orrori da essa scaturiti; Edwards si concentra ampiamente sui drammi personali dei protagonisti e sul loro percorso all’interno di una vicenda apocalittica; gli uomini, la famiglia e i sacrifici che ognuno deve compiere per sopravvivere, in qualche modo rubano spazio ai mostri, la cui presenza si fa massiccia soprattutto nella parte finale del lungometraggio.
Il regista inglese mette a disposizione il suo talento, già mostrato in “Monsters”, di rappresentare relazioni ed emozioni umane e lo fa portandoci fin dentro le case dei protagonisti e ciò aiuta a immergerci ancor più nel mondo ricreato da Edwards e dal suo team, rendendo vivide le sofferenze dei vari personaggi e il loro sbigottimento quando vedono la propria quotidianità letteralmente calpestata e trasformata in un inferno. Per quanto risulti un aspetto interessante, la resa finale tradisce in parte le intenzioni iniziali e lo spirito del’originale nipponico; Edwards sembra infatti cadere un po’ troppo facilmente negli elementi tipici del dramma americano, lasciandosi “corrompere” da quegli stilemi a stelle e strisce che fanno tutt’altro che bene alla pellicola. Si tratta forse del neo più grande della produzione, che sembra attuare nuovamente la mossa del 1956, quando gli americani distribuirono il primo “Godzilla” nelle sale tagliandolo pesantemente e aggiungendo spezzoni girati ex novo, con protagonista un reporter americano di stanza in Giappone che facesse da narratore e rendesse il prodotto più fruibile al pubblico del Nuovo Mondo.
Esemplificativa è la scelta, nel nuovo film, di avere come personaggio principale un soldato, raccontando gran parte della storia attraverso i suoi occhi e mostrando molte sequenze con i militari protagonisti, intenti nella loro missione di salvare l’America (e, se avanza tempo, il mondo); queste e altre direzioni opinabili intraprese dal regista macchiano il cuore del film, in particolar modo la critica all’arroganza dell’uomo che, con l’uso di mezzi quali la bomba atomica, pensa di poter controllare l’ordine della natura. Nella pellicola, la Natura è ben rappresentata da Godzilla, che assume qui quasi il carattere di salvatore proprio della saga del kaijū negli anni ’70, ed è palese l’intenzione, più volte esplicitamente espressa, di dimostrare come la Natura in sé abbia un proprio equilibrio di cui tutti noi facciamo parte e come sia ella stessa a stabilire l’Ordine Supremo del mondo a cui noi umani dobbiamo sottostare. Questo ruolo di “salvatore” risulta controverso ai fini del film, in quanto le origini della stessa creatura, così come quelle di MUTO, l’altro essere con cui il gigantesco anfibio dovrà vedersela, non hanno quell’impatto che ci si aspetterebbe da una saga il cui mostruoso protagonista è simbolo dei potenziali abomini di cui è capace l’uomo tramutati in realtà.
Se da questo punto di vista, il lavoro di Edwards non soddisfa le aspettative, sotto l’aspetto di puro “monster movie” il film convince e non poco, facendo anche leva sul sentimentalismo dei fan che da tanto attendevano di rivedere l’amato Re dei mostri in azione. L’entrata in scena di Godzilla è prepotente, come dovrebbe essere, e il suo urlo agghiacciante riecheggia nell’intera sala, facendo quasi tremare le poltrone su cui si è seduti. La resa estetica della bestia è fenomenale e la volontà di rendere l’animale preistorico il più vivo e reale possibile è stata premiata; alla realizzazione del mostro ha contribuito un nutrito team di abili illustratori e animatori, tra cui il disegnatore Matt Allsopp, la Weta Workshop e la Motion Picture Company. Le movenze del lucertolone, così come quelle di MUTO, sono fenomenali nella loro fluidità e anche la scelta di attribuire un’accentuata espressività al kaijū si dimostra una carta vincente, rendendo più che mai viva la bestia, che dimostra un’ampia gamma di espressioni riconducibili ai sentimenti umani, ottenuta grazie alla collaborazione di Andy Serkis. Il ruggito, poi, è la ciliegina sulla torta: supervisionata, come il resto, dallo stesso Edwards, la creazione dell’inconfondibile suono è stato un processo lungo e faticoso, affidato ai progettisti suono premio Oscar Erik Aadahl e Ethan Van der Ryn, che dopo centinaia di tentativi hanno trovato la formula perfetta, costituita da uno strillo metallico seguito da un tremendo lamento e da un muggito finale. Il risultato è da pelle d’oca.
Questo lato del film, ci permette in parte di consolarci di alcune ingenuità dello script e dei punti precedentemente evidenziati nell’articolo, concedendoci di sprofondare in un po’ di sentimentalismo, tanto da farci giungere all’orecchio, in alcune sequenze del film, l’ossessionante tema principale della pellicola del ’54. La devastazione della città e il panico delle folle sono abilmente gestite e rese in modo convincente e riescono a far sentire inerme anche lo spettatore, testimone di una forza tanto ingestibile, a tratti inconcepibile.
Il lavoro di Edwards risulta perciò riuscito in buona parte, soprattutto quando sullo schermo irrompono i mostri e incalza la feroce battaglia. Dal punto di vista estetico, la fatica del regista britannico si difende bene e la sapiente mano di Edwards, coadiuvato dal direttore della fotografia Seamus McGarvey, riesce a dar vita ad alcune sequenze molto suggestive, come il lancio HALO su una cadaverica San Francisco immersa nel fumo, gestendo abilmente un 3D che non risulta mai invadente. Il cast, di prima qualità, riesce ad accentuare il pathos per tutta la durata del film, conferendo un valore aggiunto a quell’aspetto umano tanto importante per il regista. A uscirne un po’ malconcia è la simbologia e il monito di cui il film dovrebbe farsi bandiera, entrambi scalzati da una produzione di impronta troppo americana; per quanto essenziale in un monster movie, la resa blanda dell’elemento catartico non va a inficiare la parte di film dichiaratamente “popcorn movie”. I mostri giganti sono degni di tale nome e i loro scontri a suon di ruggiti e feroci attacchi galvanizzano al punto giusto. Godzilla dimostra così di non aver ancora giocato tutte le sue carte e di come riesca a coinvolgere vecchie e nuove generazioni a 60 anni dalla sua nascita, seppur con una componente metaforica approssimata rispetto alle origini. Per tutti coloro che volessero prendere di mira la Terra, un solo avvertimento: il Re dei mostri è tornato!
“Godzilla“ di Gareth Edwards, realizzato dalla Warner Bros. Pictures e dalla Legendary Pictures, arriverà nelle sale italiane il 15 maggio 2014. Nel cast Aaron-Taylor Johnson (presente nel prossimo “Avengers” nel ruolo di Quicksilver), Bryan Cranston (il Walter White di “Breaking Bad”), David Strathairn (nel 2012 in “Lincoln” di Steven Spielberg), Elizabeth Olsen (anche lei in “Avengers 2″ nei panni di Scarlet Witch), Juliette Binoche (protagonista di “Clouds of Sils Maria”, proposto per il festival di Cannes di quest’anno) e Ken Watanabe (in “Inception” di Christopher Nolan nel 2010).