La Seconda Guerra Mondiale è senza dubbio uno dei pozzi più abbondanti da cui la cinematografia ha tratto negli ultimi 50 anni. Fury di David Ayer ci porta nuovamente nel conflitto che scosse i continenti dal 1939 al 1945, ma lo fa puntando la luce su un frangente poco noto sul grande schermo: gli ultimi mesi di guerra.
Nel ’45, gli Alleati erano sempre più vicini alla vittoria grazie all’intervento degli Americani, ma anche quando questi entrarono nel cuore della Germania, i nazisti non si arresero e anzi opposero una strenua resistenza, impiegando anche donne e bambini. Gli Americani, dal canto loro, cominciarono a perdere le forze e continuarono a lottare ormai esausti, fisicamente e psicologicamente, con la speranza che la guerra finisse presto.
Proprio questo è lo scenario rappresentato in Fury, in cui la stanchezza dell’esercito americano è riassunta dall’equipaggio di un carro armato Sherman, il Fury; guida del gruppo è il sergente Don “Wardaddy” Collier (Brad Pitt), che a tutti i costi vuole riportare a casa sani e salvi i propri compagni: l’artigliere Boyd Swan (Shia LaBeouf), il caricatore Grady Travis (Jon Bernthal) e il conducente Trini Garcia (Michael Peña).
Il cimitero di carri armati con cui si apre il film rende già chiara la situazione tutt’altro che euforica con cui i soldati a stelle e strisce si stanno dirigendo verso l’epilogo del conflitto. Facciamo immediatamente conoscenza dei quattro carristi protagonisti: uomini sfiniti dai tanti anni al fronte, con la morte sempre appiccicata. Quattro amici in un territorio ostile, dove la vita di ciascuno dipende dagli uomini accanto e dalle pareti del carro armato che li ospita. A dargli la forza di andare avanti è un ambiguo senso del dovere e più di tutto il loro rapporto fraterno; un nucleo familiare alternativo che cerca di trovare un equilibrio nel mezzo del caos circostante.
Ayer non ha paura di esagerare mostrando le atrocità della guerra, soffermandosi costantemente su corpi maciullati e brandelli umani, ripresi a volte in maniera forse fin troppo ossessiva; ma si sa, la guerra non è un bello spettacolo, ed è in questo inferno che viene catapultato il giovane soldato Norman Ellison (Logan Lerman), dattilografo appena ventenne, ennesimo ragazzo inesperto sbattuto al fronte dal governo per mancanza di manodopera. Assegnato all’equipaggio del Fury come sostituto di un membro defunto, l’inesperto Ellison deve fare i conti con quel mondo a lui ancora sconosciuto e con i suoi nuovi compagni. In particolar modo, Ayer costruisce un rapporto significativo tra Wardaddy e la neo-recluta: ormai alla deriva e disincantato, il sergente vede nel giovane il se stesso del passato; un’anima in più da dare in pasto alla guerra, la cui inettitudine potrebbe tuttavia significare la morte della squadra. Wardaddy deve addestrare Ellison e farlo divenire un vero soldato, pronto a uccidere ogni nazista, perché è questo che viene chiesto loro di fare; nel giovane, però, riconosce anche quell’innocenza che da troppo tempo gli manca di vedere, piccola luce fra le atrocità di cui è costantemente testimone e alternativa alla compagnia dei suoi amici, che per quanto tenga a cuore, gli ricordano in ogni momento l’insofferenza provocata dal campo di battaglia.
David Ayer costruisce così un film di guerra incentrato su questo microcosmo di commilitoni, il cui rapporto è intensificato dal combattere rinchiusi in uno spazio ristretto come quello di un carro armato. Nonostante per gran parte del tempo i protagonisti siano a bordo del Fury, il regista riesce a mantenere alti ritmo e tensione, anche nei lenti e strategici duelli fra diversi cingolati armati. A parte rari casi, soprattutto sulle battute conclusive, in cui Ayer si concede qualche licenza meno truculenta per drammatizzare il racconto, la guerra è rappresentata in tutta la sua brutalità; tutti sono semplici pedine sacrificabili, che sembrano ormai combattere principalmente per il gusto di uccidere e di vendicarsi. In un contesto simile, non c’è spazio per gli eroi, sebbene alla fine il regista illumini in parte i protagonisti di questa luce, né per gli occhi innocenti di giovani come Norman; l’oasi che Wardaddy cerca all’interno di quel caos e che il giovane sembra rappresentare, sono solo un’illusione, un lampo sfuggevole che può solo riportare ancor più violentemente alle atrocità quotidiane.
I personaggi scardinano gli stereotipi in cui sono confinati grazie alle intense interpretazioni dell’intero cast, nessuno escluso, con gli interpreti principali perfetto nel loro ruolo e capace di rendere lo stress ma anche la stima di cui è saturo il del Fury. È il bilanciamento fra le azioni belliche più tradizionali e i rapporti conflittuali fra questi uomini senza casa, se non il loro carro armato, a far funzionare il film, che dipinge una guerra brutale e disillusa come poche con un esercito statunitense tutt’altro che spinto dallo spirito di libertà e patriottismo. In guerra, ognuno combatte per i propri ideali, e se è vero che gli americani ne escono come i combattenti per una giusta causa, i protagonisti vengono prosciugati dell’abituale eroismo e usati principalmente per mettere in scena la relazione di uomini in bilico fra la vita e la morte, e proprio per questo uniti.
Fury è un ritratto inconsueto della Seconda Guerra Mondiale, che nella sua violenza fa da teatro alle dinamiche di personaggi-fantasma, intrappolati in un orrore senza fine. Concentrandosi sugli ultimi momenti del conflitto e su protagonisti allo strenuo delle proprie forze, Ayer mette in scena le sfaccettate dinamiche di un nucleo di uomini che ogni giorno si ritrovano faccia a faccia con la morte e ne enfatizza i drammi rinchiudendoli nell’abitacolo di un carro armato. Tutto questo senza appesantire il ritmo del film, nel cui epilogo non ci sono né vincitori né vinti, ma solo morti e sopravvissuti.
Fury (QUI il trailer), scritto e diretto da David Ayer, uscirà nelle sale italiane il 2 giugno. Il cast comprende Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Peña, Joe Bernthal, Jim Parrack, Jason Isaacs e Scott Eastwood. Il regista David Ayer è al momento al lavoro su Suicide Squad.