Franny: Recensione del film con Richard Gere

Richard Gere ha mostrato negli ultimi anni un interesse per progetti in piccola scala e ruoli di uomini spesso travagliati. Con Franny, l’attore torna protagonista in un film indipendente, che sancisce l’esordio nei lungometraggi del regista Andrew Renzi.

La storia è quella appunto del facoltoso Franny, proprietario di un ospedale, che rincontra dopo anni Olivia (Dakota Fanning) la figlia dei suoi migliori amici, ormai sposata e in procinto di diventare madre. Franny non può fare a meno di aiutare la ragazza e suo marito Luke (Theo James), divenendo per loro un vero e proprio benefattore; la presenza dell’uomo nella vita della giovane coppia si fa però sempre più invadente oltre a nascondere insidiosi sensi di colpa.

L’intimità della vicenda narrata si riflette nei pochi luoghi chiave presenti nel film, come la casa dei genitori di Olivia, l’appartamento di Franny e l’ospedale. Tutto è circoscritto in uno spazio molto ristretto, rendendo ancora più vicina la semplice storia di vita scelta da Renzi, anche autore della sceneggiatura.

QUI LA CONFERENZA STAMPA DI FRANNY CON RICHARD GERE

Così come preponderante si fa la sua presenza nella vita della giovane coppia, Franny è anche l’asse attorno a cui ruota l’intero film, nonostante questo si costruisca principalmente sulle relazioni fra l’uomo e gli altri personaggi. Richard Gere interpreta un uomo perduto, che nel ritorno di Olivia vede una seconda possibilità, un’occasione di riscatto e rinascita. Quest’ultima è certamente la parola simbolo del film, che contrappone di continuo passato e presente, vecchiaia e giovinezza, non precludendo a nessuno la redenzione e l’inizio di una nuova vita.

Se l’idea di Renzi, nel complesso, risulta molto chiara, il modo in cui viene raccontata è pedissequo, privo di guizzi. Divorato dai sensi di colpa, Franny è un uomo che si è lasciato andare all’autodistruzione; la sua filantropia è dettata innanzitutto da un bisogno di sentirsi in pace con il mondo e aiutando gli altri tenta principalmente di aiutare se stesso. L’egoismo mascherato da altruismo avrebbe permesso a Renzi di dipingere un uomo molto più ambiguo e sfaccettato, mentre il regista si limita a descrivere una parabola in cui gli stravolgimenti e i cambiamenti dei personaggi sembrano non avere peso. L’intimità che Renzi aveva creato con le prime immagini del film si trasforma in banalità; l’apparente complessità di Franny viene delusa da una risoluzione semplicistica degli eventi e il risultato finale lascia l’amaro in bocca.

Si tratta di un’opera prima e questo non va dimenticato. C’è sicuramente del buono nel lavoro di Renzi e del team, che hanno optato per una storia senza fronzoli, di un vecchio e di due novelli sposi, mostrando come ognuno condizioni la vita degli altri. La sceneggiatura è sfortunatamente sempre in bilico fra la rappresentazione naturalistica dell’esistenza e il cadere nella convenzionalità cinematografica. Questo status intermedio rende Franny insipido, pur fungendo da battesimo del fuoco per Andrew Renzi, che per i progetti futuri potrebbe migliorare il suo approccio alla sceneggiatura così da rendere ancor più incisiva la sua messa in scena sobria.

Franny (QUI il trailer italiano), diretto da Andrew Renzi, uscirà in Italia il 23 dicembre, distribuito da Lucky Red. Il cast comprende Richard Gere, Dakota Fanning, Theo James, Dylan Baker e Cheryl Hines.

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