Escobar è prima di tutto grande prova d’attore. Ma non solo. Si va al cinema per lui, Benicio del Toro (Guardians of the Galaxy, Sin City) e non si rimane delusi. Ma ci si gode anche un film che unisce caparbiamente cronaca e thriller, drammatico e biografico. Non sempre con sapienza, ma con un buon effetto finale.
Escobar: ambiguità di un gigante
Primi anni ’90. L’impero di Pablo Escobar (Benicio del Toro) comincia a cedere. Sentendosi alle strette, ordina una serie lunghissima di omicidi contro i suoi oppositori, istituzionali e non. Escalation di violenza che termina nel patto con le autorità colombiane. Cinque anni di prigione superlusso per non essere estradato negli US. La parabola discendente si spezzerà nel ’93, con la sua morte per mano di un altro cartello del narcotraffico.
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La vicenda è vista attraverso gli occhi stupiti, ammirati, ma sempre sospettosi di Nick, fidanzato della nipote di El Patròn. Partenza in medias res, con Escobar che affida al ragazzo (Josh Hutcherson) il compito di nascondere parte delle sue ricchezze. Poi flashback. Nick è un giovane canadese giunto in Colombia col fratello in cerca di un paradiso. Surf e amache. Conosce Maria (Claudia Traisac), ma scoprire l’identità dello zio non gli impedisce di innamorarsi di lei. Ha modo di conoscerlo di persona. Figura ingombrante, ambigua. Paterno e semplice. Megalomane e pio. Spietato e festaiolo. Ogni sguardo del fantastico Del Toro ci dà un assaggio delle eccezionali profondità di Escobar. E la regia dell’autore in toto Andrea di Stefano sa trovare momenti e tagli giusti per presentarceli. Nick e Maria, man mano che fatti e cronache corrono, cominciano a rendersi conto davvero dell’immensità dell’ombra che avvolge quell’uomo.
Non sempre le vicende hanno il respiro che meriterebbero. Contando le due ore del film, effettivamente, dedicare il tempo giusto a ogni accadimento sarebbe stato eccessivo. Ciò non toglie che le scene drammatiche dello scontro tra i fratelli e della lenta discesa del Patròn non siano del tutto convincenti. Chiedono aria, minuti, tempo.
Per concludere…
Ma il resto del film va. Funzionano attori e personaggi, mai fuori posto. Funziona la trama, la frammentazione temporale, sceneggiatura e dialoghi che tengono alte tensioni e drammaticità. Funziona bene l’idea di un Paradise Lost, paradiso in terra dilaniato dal Male dell’uomo. Bella più di tutte è l’isola non trovata, cantava Guccini. E l’unico paradiso possibile è quello che nasconde le proprie ombre.