Ci sono film particolari, come lo è Elvis & Nixon, e riuscire a recensirli non è una cosa semplice. Siamo abituati ad andare al cinema e a ubriacarci di suoni ed effetti speciali, ma questo film è quanto di più lontano ci sia da una cosa simile. Ricorda qualche stile datato, del secolo scorso, quando in pochi ambienti si poteva girare un film intero. Un bar, una camera d”albero, i corridoi della Casa Bianca e lo Studio Ovale. Pochi altri sono i luoghi che si vedono, soprattutto che si ricordano, in quanto sono fondamentalmente secondari.
Elvis & Nixon è la strana storia di una strana coppia, quella del Re e del Presidente, quella di due strani mondi che si incrociano: da un lato la voglia di non essere solamente un musicista, pur non volendo marcare pubblicamente questa differenza, e dall’altra quella di scoprire un uomo che, forse, non è così superficiale come in molti avrebbero all’epoca giudicato. Elvis ha un sogno, un desiderio, ed è rendersi utile alla società. Quello che all’inizio pare un capriccio d’aeroporto, superficiale, alla fine si inquadra quasi come un bisogno viscerale. Nixon è un uomo tutto d’un pezzo, duro, quadrato su se stesso e in lineamenti che paiono rispecchiarlo anche così. Eppure, si scoprono.
Michael Shannon è un perfetto Elvis, umano,appare in un certo modo stanco: stanco di essere visto per la maschera, non per quello che si sente davvero d’essere, e ha un’ottima interpretazione. Ma Kevin Spacey è l’uomo perfetto per essere Nixon, per chiudersi tra le spalle e imitare una così particolare fisicità, anche nel modo di impostare la voce. Ed entrambi gli attori trovano giustizia anche in un ottimo doppiaggio italiano (per Elvis, Pino Insegno pare quasi meglio dell’originale, con tutto lo charme che sa trasmettere). Per quante volte Alex Pettyfer compaia sullo schermo, diventa trasparente, di fronte a questi due grandi.
Elvis & Nixon è un film sottotono, in un certo senso, ovvero è pacato, non vede nessuno saltare sulle scrivanie a suon di rock, racconta una giornata (quella del 21 dicembre 1970) in nemmeno un’ora e mezza, ma lo fa bene: non appare pesante, lento, ma si finisce per chiedersi “come andrà a finire”, istintivamente. Anche se si sa: nel senso che quella foto è davvero la più richiesta dall’archivio di Stato.