Edge of Tomorrow – Senza Domani: Recensione in anteprima

Datemi ciò che volete, ma non un film ripetitivo; vedere susseguirsi gli stessi schemi per gran parte di una pellicola è ciò che lo spettatore rifugge maggiormente. C’è da stupirsi, dunque, che “Edge of Tomorrow – Senza domani” faccia della ripetitività il proprio fulcro narrativo e ancor di più lo è il fatto che riesca a non risultare ridondante.

La storia segue le vicende del tenente William Cage, interpretato da un inedito Tom Cruise codardo, catapultato nel mezzo di una battaglia contro la razza aliena, i Mimics, che minaccia di conquistare l’umanità. Senza alcuna esperienza di combattimento, Cage muore dopo pochi minuti dall’inizio dello scontro, ma inspiegabilmente si risveglia ore prima della battaglia, rivivendo gli stessi momenti che hanno preceduto la sua morte, scoprendo di poter resettare quel giorno, ricominciando sempre dallo stesso punto, ogni volta che perde la vita.

Sì, ok, su due piedi sembra la trama di “Ricomincio da capo”, il film del 1993 con Bill Murray in cui un meschino meteorologo si ritrovava a rivivere la stessa giornata all’infinito, ed effettivamente lo è, traslato però in un’atmosfera sci-fi con tanto di esoscheletri e mostruosi extraterrestri, strizzando più l’occhio al “Source Code” di Duncan Jones, datato 2011.

Doug Liman, regista della pellicola, dopo aver diretto “The Bourne Identity” e “Jumper – Senza confini”, si imbarca così per la prima volta nella fantascienza più pura e nel labirinto dei viaggi nel tempo, accettando la sfida di trasporre sul grande schermo il romanzo “All You Need is Kill” di Hiroshi Sakurazaka, al centro del quale vi è un sistema che rimanda alle dinamiche dei videogiochi, senza però divenirne schiavo e riuscendo a rendere il titolo non un semplice crogiolo di spari ed esplosioni; dotato di un soggetto dagli spunti interessanti, Liman, nelle vesti anche di produttore esecutivo, mette rapidamente lo spettatore in sintonia con il meccanismo del “muori e ripeti” proprio del film, la cui spiegazione è tanto banale quanto efficace nel non distrarre il pubblico. Rendendo ogni volta lo sguardo al passato differente, grazie al mutare delle azioni di Cage e al variare dei punti di vista, è possibile concentrarsi sullo sviluppo narrativo e le relazioni intrecciate dai personaggi, in particolare quella tra il protagonista e Rita Vrataski, la migliore soldatessa dell’intero esercito, simbolo della resistenza umana, che guiderà Cage fino al compimento del suo destino.

I personaggi sono abbastanza stereotipati, ma fungono al loro scopo di raccontare una storia d’azione di puro intrattenimento, grazie alle interpretazioni abbastanza centrate del cast e in particolare di Cruise e di Emily Blunt, il volto di Rita. Soffermandoci sulla controparte aliena, l’esercito invasore si compone prevalentemente, a parte rare eccezioni, di creature la cui anatomia ricorda per forma una stella marina tentacolata, riprendendo la descrizione del romanzo, in cui i Mimics traggono il nome proprio per la capacità di imitare le sembianze del primo organismo con cui vengono a contatto (nel film, invece, l’origine del nome non è mai chiarita); la resa degli esseri non fa gridare al miracolo, più che altro per un tono di “già visto”, mentre grande impatto hanno le scene nel bel mezzo del conflitto, che con un uso ridotto del green screen e le location quasi del tutto ricostruite dal vero sul set, danno la sensazione di essere in uno Sbarco in Normandia alternativo.

La critica maggiore che si può muovere verso il film è la presenza di una parabola discendente che ha inizio dopo circa 60 dei 113 minuti totali; se inizialmente il tema della ripetizione è sicuramente interessante ed è reso ancor più digeribile da una pervadente ironia, la consapevolezza che tutto ciò a cui assistiamo può essere resettato dal protagonista e la stessa ironia sopra citata privano di pathos una buona parte del film, giungendo a una conclusione che, nonostante le probabili intenzioni originali, non riesce fino in fondo a farci sentire sulla pelle la tragedia dell’umanità e dei personaggi. E assistendo al discreto spettacolo offerto dalle differenti evoluzioni delle vicende, arricchite da scontri che non prendono mai il sopravvento sul resto della narrazione, la pellicola si appresta a chiudersi lasciando il pubblico consapevole che si sia trattato di un blockbuster godibile senza particolari pretese, almeno nei risultati effettivi. Con quest’idea in testa, si potrebbe tornare a casa anche decentemente soddisfatti, ma la piega intrapresa verso la fine abbassa nettamente il livello generale finora mantenuto, dando la sensazione che tutto ciò che è successo fino a quel momento sia stato completamente inutile. Adattare un’opera letteraria per il cinema non è facile, è comprensibile, soprattutto per le differenze culturali tra giapponesi e americani; per questo motivo, se si prende il film per quello che è, si può anche chiudere un occhio sulle mancanze del progetto, in particolare su uno snodo narrativo riguardante il loop temporale che ancora mi ronza per la testa e che lascio a voi il compito di individuare, ma è innegabile che le libertà adottate rispetto alla fonte originale, se da una parte hanno reso l’approccio con il loop molto intuitivo per il grande pubblico, dall’altra hanno aggiunto poca sostanza al tutto, risultando anzi il tallone d’Achille del prodotto, che rischia di essere compromesso da una scelta che verso la fine sa un po’ troppo di americanata.

Stupisce dunque che le tre teste di Christopher McQuarrie e dei fratelli Jez e John-Henry Butterworth abbiano pensato di comune accordo che questo fosse il modo migliore per congedarsi dagli spettatori e che a Doug Liman, in quanto regista e produttore esecutivo, sia stato d’accordo con questo finale, che mina pericolosamente una pellicola che, grazie alle scene adrenaliniche e al metodo narrativo, sfidando ogni aspettativa, risulta interessante e divertente. A onor del vero, infatti, il prodotto potrebbe anche fungere da passatempo spensierato per chi volesse trascorrere poco meno di due ore all’insegna dell’intrattenimento più classico, tenendo però bene a mente che se i primi due terzi del film si potrebbero paragonare a un discreto pranzo, per il finale sarebbe stato meglio scegliere un dessert differente.

Nota a parte merita il 3D, che a parte la sequenza iniziale dell’atterraggio in elicottero a Trafalgar Square (per la prima volta viene concesso a una produzione cinematografica di far atterrare un velivolo nella piazza londinese), risulta nel complesso trascurabile, facendo dubitare in molti casi di stare a guardare uno spettacolo in tre dimensioni.

“Edge of Tomorrow – Senza domani” , firmato Warner Bros. Pictures e Village Roadshow, uscirà in Italia il 29 maggio, diretto da Doug Liman. Oltre a Cruise e alla Blunt, il film conta su un cast composto da Bill Paxton, Jeremy Piven, Ciaran Hinds, Noah Taylor, Kick Gurry, Dragomir Mrsic, Charlotte Riley, Jonas Armstrong, Franz Drameh, Masayoshi HanedaTony Way.

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