Deepwater – inferno sull’oceano è tratto da fatti reali, molto – anche troppo – vicini. Deepwater Horizon, piattaforma petrolifera mobile che esplose nell’aprile 2010 causando altissimi danni ambientali. Fatti così recenti possono essere trattati solo in un modo: aggressivamente. Sconvolgere lo spettatore con una realtà senza patine. Fatti, numeri, colpe, conseguenze. Invece, il regista Peter Berg sceglie la via piana del reportage catastrofico, patinato da eroismo spicciolo USA. Sceglie personaggi stereotipati. L’eroe senza macchia con la famiglia nel cuore (Mark Wahlberg). Il capo burbero ma moralmente ineccepibile Kurt Russell (con baffi che ci riportano ad Hateful Eight). Il ricco imprenditore cinico e attaccato solo al soldo John Malkovich. Berg punta tutto sui nomi del cast, lasciando il resto al visto-rivisto-stravisto di scene e dialoghi di repertorio.
Deepwater – inferno sull’oceano: esplosioni, eroismi e noia
Si parte con un buio flashforward: la voce di Mike Williams (Wahlberg) nel processo successivo al disastro. Poi, si torna indietro. Quotidianità di famiglie, colazioni, risate. Si tenta timidamente di creare un background che ci faccia amare i personaggi. Immagini e dialoghi di riempimento per preparare meglio la tragedia. Battute, cantieri, mare, e, infine, la Deepwater. E spuntano i primi problemi. Malfunzionamenti. Controlli sul cemento del giacimento non svolti a dovere per risparmiare. Screzi tra l’etica di Russell e il cinismo di Malkovich.
La disputa continua fino a metà film. Regia e dialoghi indugiano su dettagli tecnici e monitor poco comprensibili. Al momento dell’estrazione, il disastro. Blow out del petrolio. Si punta su spettacolarità e inusualità della scenografia. Fontane di greggio, esplosioni, uomini che diventano torce, morti, feriti, panico. Noia. Su tutto, prevale l’insensato buonsenso del protagonista Williams. Eroe incurante di se stesso, che calma gli animi ed è disposto a sacrificarsi per salvare chiunque. La sua figura è ingombrante, prolissa. E, anche se la recitazione della triade protagonista/spalla/antagonista è ok, non c’è nulla tra regia e dialoghi di memorabile. Fa luce su faccende, eventi e dinamiche non chiarissime, ma i suoi pregi iniziano e finiscono lì.
Per concludere…
Le storie vere, troppo spesso, ammazzano il cinema. Ci si nasconde dietro la realtà per non aver il coraggio di portare nuove idee. Ci si nasconde dietro le persone per creare personaggi inconsistenti. Il caso di Deepwater – inferno sull’oceano è solo uno dei tanti esempi del genere. Girato con ordine, senza grosse sbavature. Ma vuoto, già visto, patinato. Per essere una storia vera, risulta troppo fasulla. E i bei baffi di Russell non possono tirare su tutto.