As the Gods Will – Recensione del ritorno di Takashi Miike a Roma

Tra i registi più prolifici dei nostri tempi, Takashi Miike è ormai abituato a essere ospite di tante nazioni e altrettanti festival. Quest’anno, l’autore giapponese torna al Festival di Roma per ritirare il Maverick Director Award e lo fa presentando in anteprima mondiale il suo As the Gods Will (Kamisama no Iu Touri).

Pur mantenendo uno stile sempre riconoscibile, Miike deve la sua fama anche alla grande varietà di materiale da cui trae ispirazione. Negli anni l’abbiamo visto dedicarsi a opere originali così come a trasposizioni di anime e videogiochi, appartenenti alla cultura orientale e non solo.

Per As the Gods Will, il regista trae stavolta ispirazione dal mondo dei manga, decidendo di adattare l’omonimo lavoro di Kaneshiro Muneyuki e Akeji Fujimura.

La trama, all’apparenza semplice, ha tutti gli elementi per contenere ben più di quello che si potrebbe pensare e Miike, da maestro qual è, ne è consapevole e usa ciò a suo vantaggio.

Tutto ha inizio in un normale liceo giapponese. Protagonista è Shun Takahata, adolescente annoiato, come molti della sua età, dalla propria esistenza monotona. Questa monotonia viene tuttavia spezzata quando nella loro aula appare un misterioso Doruma, il quale dà inizio a una serie di prove che gli alunni dovranno sostenere; la punizione per chi fallisce è la morte.

Detto questo, ciò che posso dirvi è che ciò che vedrete sullo schermo sarà qualcosa di assolutamente imprevedibile. Takashi Miike ci trascina nel suo mondo sin dalla prima inquadratura. Ci viene presentato il giovane Shun in tutta la sua accidia; un ragazzo come tanti che non trova alcuno stimolo in ciò che lo circonda e si ritrova a chiedere a Dio una vita diversa, che non sia così priva di senso. Dopodiché incontriamo gli altri alunni: Ichika Akimoto, amica di Shun sin dall’infanzia; il violento bullo Takeru Amaya; il calmo e razionale Satake.

Ciò che ci si para davanti è un fiume di apparente follia e irrazionalità, in cui si intersecano tradizioni giapponesi, divinità e fantasy; la grandezza del film risiede però nel non rinunciare mai alla realtà, che è parte integrante del titolo. Per quanto la comune vita dei protagonisti sia sconvolta da creature surreali e sfide mortali altrettanto bizzarre, il modo di raccontare attuato da Miike rende il tutto, se non plausibile, sicuramente credibile. L’accuratezza dei personaggi, il loro background, la loro etica e le loro azioni sono sempre calate nella realtà, che non lascia mai completamente spazio alla dimensione più astrusa.

Il lavoro del cast è incredibile, tutti azzeccatissimi per i ruoli interpretati, a partire da Sota Fukushi nei panni di Shun fino a Hirona YamazakiRyunosuke Kamiki in quelli, rispettivamente, di Ichika Akimoto e Takeru Amaya. L’apatia ma anche i momenti di ardore provati da Shun, la fragilità e assieme la forza di Ichika, così come la sadica follia di Takeru sono riprodotte in maniera entusiasmante, con interpretazioni spesso caricate ma mai fuori le righe, anzi completamente in linea con il tono del film.

Non voglio scendere troppo nei particolari delle prove, ma questo è uno di quei titoli che vorreste non finisse mai; le sfide stralunate sono gestite alla perfezione, emozionanti e divertenti; in quei momenti il coinvolgimento è al massimo, rapiti dal modo in cui Miike riesce a rendere così vivide sullo schermo le pagine del manga. L’attesa per scoprire cos’altro ha da offrire la pellicola è spasmodica; sfida dopo sfida, impariamo a conoscere meglio i ragazzi, ci immedesimiamo con loro e, per quanto finiamo per avere i nostri personali favoriti e odiati, non si finisce mai per giudicarli fino in fondo perché capiamo che dietro alla loro bontà o cattiveria si cela una fitta rete emotiva, talmente intrigante da non poter essere ridotta alla semplice distinzione tra bontà e malvagità.

Una breve parentesi sulla violenza mostrata nel film e da Miike in generale, da molti spesso definita brutale e inutilmente splatter, quasi a nascondere una sorta di voyeurismo da parte del regista; c’è da dire tuttavia che, a parte alcuni casi, alla violenza spesso si allude o viene semplicemente mostrata fuori schermo. Per quanto alcune sequenze possano risultare disturbanti per la loro intensità, definirle superflue e volgari è di una superficialità disarmante, perché se è vero che il cinema di Miike non è per tutti, non riconoscerne la maestria nel progettare e mettere in scena un film vorrebbe dire girarsi volontariamente dall’altra parte.

Takashi Miike durante le riprese sul set

Potremmo dilungarci anche sulle numerose metafore del film, segnale vero e proprio del ruolo sempre presente assunto dalla realtà. I protagonisti lottano per sopravvivere, si alleano, si scontrano, rimanendo isolati dal resto del mondo ma essendone stati precedentemente, e inevitabilmente, condizionati. E allora ecco che i portatori di morte che a turni mettono alla prova i ragazzi assumono l’identità di un governo che spia e detta le nostre mosse; del soffocamento nei confronti di tutti noi da parte della famiglia e degli amici, che troppe volte vorrebbero manovrare il nostro destino finendo per tarparci le ali; dell’ipocrisia della società e anche di noi stessi, convinti spesso di avere tutte le risposte e di essere nel giusto quando in realtà siamo esperti solo nel predicare bene.

Ulteriori dettagli rovinerebbero il film, che andrebbe assaporato senza pregiudizi fino all’ultimo fotogramma. Dopotutto, come ha dichiarato lo stesso Takashi Miike, “non si tratta tanto di trasmettere qualcosa, bensì che sia il pubblico a percepirlo, anche se fosse diverso da spettatore a spettatore”.

Dal mio punto di vista, Takashi Miike è riuscito straordinariamente nell’impresa di realizzare una pellicola intensa per tutta la sua durata, con tanti momenti brillanti ed esilaranti, e altrettanti più toccanti ma senza mai concedersi alla banalità. Verrebbe da dire che questo film ha tutto e al momento, personalmente, si è dimostrato la grande rivelazione del Festival e la prova del nove per il talento di Miike. Giustissima la scelta di inserire il titolo in concorso, sezione che finalmente comincia a mostrare i muscoli.

As the Gods Will (Kamisama no Iu Touri), diretto da Takashi Miike e sceneggiato da Hiroyuki Yatsu, arriverà in Giappone il 15 novembre. Per l’Italia, purtroppo, si dovrà senz’altro aspettare e per di più sperare che arrivi (spesso le opere del regista non trovano un distributore nel nostro Paese). Speriamo che la presenza in concorso, la premiazione di Miike e la calda accoglienza italiana convincano qualche casa a portare questo imperdibile gioiello nei nostri cinema. Del cast ricordiamo fanno parte Sota FukushiHirona YamazakiRyunosuke Kamiki.

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