Arrival: Recensione del film di Denis Villeneuve in concorso a Venezia 73

Dopo averci regalato degli splendidi thriller, ultimo dei quali l’elettrizzante Sicario, Denis Villeneuve si cimenta con la pura fantascienza girando Arrival, in concorso a Venezia 73.

Come si evince dal titolo, alla base del racconto vi è l’arrivo di una forma aliena sul nostro pianeta. I Paesi del mondo tentano di creare un ponte con queste creature, apparentemente desiderose di comunicare con noi, e l’America decide di fare ricorso alla linguista Louise Banks (Amy Adams), che viene così portata a bordo di una delle dodici astronavi atterrate sul nostro pianeta.

Insieme alla vicenda fantascientifica, assistiamo ad alcuni frammenti della vita Louise, che ha dovuto sostenere il peso di un’immane tragedia; come capita spesso con i film migliori, il genere è infatti solo un mezzo per parlare di umanità. Siamo strettamente condizionati dal tempo e dalla concezione della vita che da esso deriva, ma cosa accadrebbe se ruscissimo a scrivere una nuova prospettiva dell’esistenza?

Riunendo la sua squadra tecnica di fiducia e un cast in grado di regalare un’identità emotiva ai vari personaggi, Denis Villeneuve costruisce un film sul linguaggio, non necessariamente scritto o parlato, sulla comunicazione fra specie, popoli e persone diverse. Il tentativo di dare un senso alla lingua aliena è affascinante, perché conoscendo di più sul loro modo di comunicare sappiamo che capiremo meglio coloro che lo utilizzano. È raro vedere il lavoro di un linguista trattato in questo modo, rammentandoci la ricchezza costituita dalla varietà di idiomi, per noi a volte scontata o perfino un inutile ostacolo.

QUI LA CONFERENZA STAMPA DI ARRIVAL

In questo film tanto umano, non passa però in secondo piano il genere; la fantascienza è presente in tutti i suoi punti cardine, dal primo contatto all’isteria generale, dall’umanità che si riunisce nei momenti di crisi alle individualità che rischiano di minare tale unità, dando vita a degli extraterrestri il cui scopo, per una volta, non è semplicemente raderci al suolo.

Villeneuve racconta tutto questo con la sua solita classe, creando immagini e atmosfere che in alcuni frangenti richiamano molto il suo Enemy (meno noto in Italia, dove sfortunatamente non ha trovato distribuzione), giocando con la mente dei protagonisti e allo stesso tempo dello spettatore, in un racconto che se verso la metà sembra perdere il filo del discorso, ricorrendo a qualche cliché di troppo e ricorrendo a uno stratagemma semplicistico per sbrogliare la questione dell’indagine linguistica, arrivati in fondo il film regge grazie al collante fornito dal regista stesso. Appare così chiaro che, nonostante i difetti, Villeneuve avesse un piano ben preciso su cosa portare sul grande schermo e sul come farlo, districandosi con grazia, anche per merito del montatore Joe Walker e del direttore della fotografia Bradford Young, tra il fantascientifico e il viaggio emotivo dei protagonisti.

“Una teoria sostiene che chi impari una nuova lingua, cominci a plasmare il proprio pensiero su di essa” afferma durante il film il fisico interpretato da Jeremy Renner. Ed è questo uno degli aspetti più intriganti del film: se la differenza linguistica può sembrarci un muro insormontabile nella comunicazione, un ponte può essere eretto colleganodci emotivamente con l’altro, comprendendo come questo pensa e interrogandoci sul fatto che la nostra visione del mondo possa non essere l’unica corretta. Sono riflessioni che spesso riesce a suscitare l’arte, il cinema, ed è ciò che riesce a fare Arrival.

Arrival (QUI il trailer) è in concorso a Venezia 73. Il film uscirà in Italia il 24 novembre.

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