American Sniper – Recensione del film di Clint Eastwood sul cecchino Chris Kyle

Nella filmografia di Clint Eastwood è facile trovare il tema del conflitto sul quale si sono edificati gli Stati Uniti nel corso della Storia; lacerazioni sociali, lotte fra uomini che cercano di sopravvivere e una macchina politica che ha come unico scopo quello di ingigantirsi. Una guerra su tanti livelli, ma pur sempre guerra, che Eastwood ha avuto continuamente premura di raccontare, andando anche a toccare il secondo conflitto mondiale.

Dopo Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, il regista si dedica nuovamente alla guerra in senso più concreto, facendo un salto nel periodo recente e rappresentando uno squarcio del conflitto in Iraq attraverso gli occhi di Chris Kyle, il cecchino più letale della storia militare americana. Clint Eastwood si imbarca così in American Sniper, tratto ancora una volta da un libro, nello specifico dall’omonima autobiografia scritta da Kyle.

Seconda opera biografica consecutiva dopo Jersey Boys, American Sniper reca con sé la sfida di tradurre su schermo la vita di un uomo realmente esistito, assumendo come contesto uno tra i più controversi della storia moderna. In modo simile a quanto raccontato da molte altre pellicole, come The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, il titolo analizza le due realtà che compongono la vita di un soldato: quella in battaglia e quella quotidiana. A incarnare il tormentato protagonista viene chiamato il sempre più impegnato Bradley Cooper, che per l’occasione mette su una massa considerevole che lo fa apparire imponente e a tratti intimidatorio come non mai.

Il lavoro di Eastwood si apre in riga con le pellicole di genere analogo, presentandoci il protagonista nelle vesti di soldato, per poi accompagnarci nella sua dimensione più quotidiana e continuare così mostrandoci volta per volta le due facce della medaglia. Sin dalla prima scena, Eastwood dimostra comunque di avere ancora la buona vecchia mano, lasciando lo spettatore con il fiato sospeso e costruendo una scena tesa al punto giusto e smorzata astutamente, approfittando dell’occasione per partire con un arco narrativo attraverso il quale il pubblico segue i passi che hanno portato Kyle a divenire chi è. Vedendo il film da profani della storia di Kyle, è necessario affidarsi puramente alla descrizione che Eastwood e lo sceneggiatore Jason Dean Hall fanno del personaggio, cresciuto con un rigido senso del dovere nell’aiutare i più deboli. Di fronte agli orrori della guerra di cui è esternamente testimone, Kyle capisce di poter aiutare il proprio Paese in prima linea mettendo al servizio la sua innata precisione con il fucile; da qui inizia il suo viaggio travagliato.

Il giovane protagonista stupisce subito i commilitoni per la sua abilità, tanto da essere soprannominato “Leggenda”, e trova altrettanto presto anche l’amore. Come è consuetudine, tuttavia, conciliare le due sfere diverrà sempre più difficile, sia per l’inevitabile esperienza post-traumatica che riserva il conflitto sia per un desiderio quasi ossessivo del protagonista di servire la nazione. A questo punto entra in gioco l’interessante montaggio di Joel CoxGary D. Roach, fedeli collaboratori di Eastwood; comincia un passaggio incessante dal conflitto sul campo di battaglia a quello con se stessi e con la propria famiglia, che ci mostra Bradley Cooper di volta in volta più letale con la sua arma ma maggiormente risucchiato dal senso del dovere, inconciliabile con le esigenze dei suoi cari. Ricorrendo a ellissi nette, la vita di Kyle assume col tempo un senso unico e i momenti trascorsi con moglie e figli si tramutano in brevi parentesi tra un turno di servizio e l’altro. Il percorso del protagonista, guidato da una sorta di fanatismo, è intrigante e Cooper si rivela una scelta azzeccata per il ruolo, veicolando ottimamente la personalità spezzata del personaggio anche con una semplice espressione.

Considerando già solo questi punti, è chiaro che American Sniper sia un film ben realizzato e da questo punto di vista c’è poco da discutere; a destabilizzare la costruzione del titolo è una visione del regista probabilmente troppo condizionata dalla figura di Kyle. Eastwood dipinge il protagonista come un soldato provetto, pronto a far tutto per compiere il proprio dovere; la descrizione del suo inesorabile assorbimento da parte della guerra traccia una figura ambigua, che non appare nemmeno del tutto piacevole, ma che agli occhi di Eastwood rimane comunque un eroe di guerra. Questa considerazione è del tutto comprensibile; pur trattandosi di una biografia, che dal film si evincano le idee del regista è più che naturale. La sensazione è tuttavia quella che Clint Eastwood sia stato costantemente plagiato dalla considerazione nei confronti di un uomo ritenuto in ogni caso un eroe. Il regista non riesce a mettere da parte questa sua consapevolezza e ciò rende lentamente il film un elogio alla figura di Chris Kyle.

Il protagonista compie azioni che molti considererebbero atroci e che in un primo momento sembrano affliggere anche lui, ma agisce per salvare i suoi commilitoni e per combattere il terrorismo, rendendo ogni suo atto in gran parte giustificato. Con il trascorrere della pellicola, è evidente come Eastwood ritragga un soldato cresciuto uomo dalla severa educazione cattolica del padre, che agisce per uno scopo superiore e per questo rispettato. Viene a mancare però l’immagine dell’uomo consumato dagli ingranaggi politici, il lato propagandistico della guerra e una considerazione per la parte contrapposta al protagonista. Quest’ultimo aspetto, in particolare, si rivela in un punto di vista quasi esclusivamente americano nel corso del film; il nemico viene visto solo in quanto tale e manca di una propria dimensione, assumendo il semplice ruolo di antagonista dell’esercito a stelle e strisce. Soprattutto in luce dei precedenti lavori del regista, questa pecca sorprende e nonostante Eastwood dia voce a volte all’insensatezza della guerra quando questa diviene una mera crociata, momenti simili si riducono a deboli battiti soffocati dall’animo patriottico del protagonista.

È dunque questo a tarpare le ali ad American Sniper, che racconta l’infernale viaggio di Chris Kyle in un abisso per molti senza ritorno e mostra le ragioni e le conseguenze personali di scelte drastiche ma necessarie. Nella sua struttura, il lavoro di Clint Eastwood è solido, grazie alla costruzione di scene tese e destabilizzanti in guerra che si riflettono sul lato umano di coloro coinvolti, rappresentate da ottimi interpreti, principali e secondari; l’attenzione prestata al conflitto in battaglia e quello familiare concedono di volta in volta allo spettatore la giusta dose di drammaticità, presente in larga scala così come nell’intimità dei personaggi. Sfortunatamente, più ci si dirige verso la conclusione e più quello di Eastwood assume la forma di un vero e proprio tributo all’eroe di guerra Chris Kyle, le cui colpe paiono essere perdonate per via del suo status di paladino che ha assunto agli occhi del popolo americano. Facendo così, Clint Eastwood perde l’occasione di osare, di concedere la sua singolare visione, solitamente non così permissiva, su un personaggio complesso e dalle molte potenzialità. American Sniper ne esce comunque come un film ben diretto e interpretato, che vale la pena guardare almeno per lasciarsi guidare dalla mano sempre esperta di Eastwood, che avremmo tuttavia preferito vedere meno di parte.

American Sniper (QUI l’ultimo trailer italiano) arriverà nelle sale italiane il 1° gennaio 2015, diretto da Clint Eastwood e sceneggiato da Jason Dean Hall . Il cast principale è composto da Sienna Miller, Jake McDormanLuke Grimes, Navid Negahban e Keir O’Donnell. Prodotto da Village Roadshow Pictures, Mad Chance, 22nd, e Indiana, il film è distribuito dalla Warner Bros. Pictures.

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