American Hustle: Recensione del film

Uscito al cinema poche ore dopo essere entrati nel 2014, con “American Hustle“, veniamo catapultati a fine anni ’70, quando la guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate avevano messo al tappeto l’America, che stava cercando di risollevarsi.

È tra Long Island e New Jersey che si analizza la storia del contrabbando, dei sotterfugi, delle apparenze, e del voler far carriera.

American Hustle, la recensione in dettaglio

Come prima sequenza, dove vi sono i titoli di testa, vediamo un Christian Bale, dalla pancia flaccida e inguardabile, intento a fare un riporto di capelli perfetto (per chi ha visto diversi film, si sa che Bale è un attore che davvero s’impegna al massimo per poter dare il meglio dell’interpretazione anche “corporale”, uno tra tutti quando perse circa 25 chili di peso per “The Fighter“).

Il seguito viene da sé, partendo, dopo circa 15 minuti da inizio film, da un flash back che ci spiega le “origini”, arrivando poi alle conseguenze future.

Sostanzialmente il film analizza la vita di Irving Rosenfeld (Christian Bale), di professione, truffatore.

Sono molte le attività (illegali, s’intende) in cui si cimenta, ma le più redditizie vengono dalla vendita di quadri falsi spacciati per veri, o veri ma rubati, e dalla consulenza per dei prestiti (5000 bigliettoni) che la gente disperata cerca in tutti i modi di poter avere impegnando il possibile, ma che mai avranno.

Le sue, diventeranno attività da dividere con l’amante Sydney (Amy Adams), che grazie a corpo, fascino e scaltrezza, farà moltiplicare le entrate finanziarie.

Ma saranno sotterfugi che verranno alla luce da Richie Di Maso (Bradley Cooper), un agente dell’FBI, desideroso di farsi una carriera di successo e di scovare i “cattivi” che cercano di trarre vantaggio dall’America che sta cercando di non sprofondare nel buio.

Per evitare la fine delle loro vite, non rimane che collaborare con l’FBI, che deve cedere alle “avances” di Richie, per cercare in ogni modo di prendere i cattivi.

“Le persone credono a quello a cui vogliono credere”.

Nella girandola di eventi che accadranno, ci si metteranno i triangoli amorosi tra i Irving-Sydney-Rosalyn (la moglie sboccata di Irving, interpretata da Jennifer Lawrence), e Sydney-Irving-Richie, e l’uso di persone come Carmine Polito (Jeremy Renner), sindaco del New Jersey, che nonostante tutto cerca di aiutare la sua gente che ritiene come una grande famiglia.

Ma non è tutto qui: tra bigodini, lacca, vestiti inguardabili, innumerevoli sigarette e impiccio della mafia (e qui compare De Niro, che fa sempre la sua figura) ci sarà una giostra di ambientazioni, intrighi e soprattutto di apparenze, che si alterneranno a gran velocità come il nastro che trasporta i vestiti della lavanderia (di proprietà di Irving).

I tempi sono scanditi bene, un susseguirsi si situazioni e ambientazioni che tengono attaccati alla poltrona con un pizzico di ansia.

Ma.. ci sono diversi ma; complessivamente sembra un film quasi già visto, il ritmo dei dialoghi sembra quasi degno di quelli di Woody Allen.

Da sottolineare le interpretazione pazzesche di Christian Bale ed Amy Adams che stupiscono, ma non si può dire lo stesso di Bradley Cooper (che se la cava di poco) e di una Jennifer Lawrence inadeguata al ruolo interpretato.

Del resto, David O.Russel (regista e sceneggiatore di questo film) ha già portato all’Oscar tutti e 4 gli interpreti principali (Bale e Adams, rispettivamente vincitore e nominata come attore e attrice non protagonista nel 2011, per “The Fighter“,Lawrence e Cooper rispettivamente vincitrice e nominato come miglior attrice e attore protagonista nel 2013, per “Il Lato Positivo“), e la domande che sorgono sono:

Riuscirà Bale a portarsi a casa un Oscar e un Golden come migliore attore?

Riuscirà a fare altrettanto la grande Amy, che merita davvero dopo grandi interpretazioni e ben 4 nomination agli Academy nella sua carriera?

Questo lo vedremo poi nelle nomination agli Academy il 16 gennaio.

Articolo di Mara Siviero

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