Abel: Il figlio del vento – Recensione: esattezza di sguardi

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Abel, il figlio del vento è una storia disneyana trattata con toni che ne rifuggono gli stereotipi. Ma sempre, di fondo, una voglia di catturare il cuore del pubblico. Taglio documentaristico e intimità di silenzi famigliari si mischiano a una bonaria voce narrante. Non si sbrodola con troppi buoni sentimenti. Non si sproloquia con lunghi discorsi. Si lascia spazio al non detto degli uomini e alle azioni neutre della natura. Il tutto è giusto, esatto, calibrato nella visione registica e nell’atmosfera tra possibile e reale.

Abel: il figlio del vento – la semplice bellezza del reale

Non luogo, non tempo. Alpi, in una contemporaneità variabile. Lukas (Manuel Camacho) è un ragazzo solitario. “Parla solo con la natura”. Corre in bici tra gli sconfinati e deserti (di persone) spazi delle montagne, cercando di tenersi alla larga dal padre Keller. Questi (Tobias Moretti… chi si ricorda Il commissario Rex?), è uomo di montagna. Cacciatore, allevatore, provvede a sé e al figlio. Una moglie e una madre mancante. Odore di tragedia che lascia ferite profonde. E tanti silenzi. Il rapporto tra i due è inesistente. Il guardaboschi Danzer (Jean Reno) è mediatore tra l’introversione sognatrice di Lukas e quella burbera di Keller.

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Parallelamente, in un nido di aquile nascono due aquilotti. Presto uno dei due prevarrà sull’altro, rimanendo l’unico a dominare la valle. Non c’è valutazione morale nella tragedia. Lo sguardo registico è quello della semplice forza del reale. Solo la voce narrante di Danzer prova a dare un senso umano alla perfetta insensatezza del mondo animale. Un mondo mai disneyanamente edulcorato, semplicemente colto con occhio vigile nella sua straordinaria bellezza. L’aquilotto caduto, destinato alla morte, viene invece salvato da Lukas.

Storia emblematica del mondo animale che si rispecchia in quella di una famiglia. I goffi tentativi di Lukas di insegnare all’aquilotto (ribattezzato biblicamente Abel) a nutrirsi e volare, sono i suoi tentativi di capire l’istinto alla vita. Le due storie parallele si fondono in una, cercando un unico senso di famiglia e sopravvivenza che trascenda le differenze di specie.

Per concludere…

Abel, il figlio del vento è un ottimo film per bambini, ragazzi e adulti. Pur nella bellezza dei paesaggi immacolati, delle riprese di animali, di caccia e voli, non si ferma alla superficie. Va oltre, utilizzando un lirismo naturalistico che non si lascia distrarre da una storia facile alla lacrima e al buonismo disneyano. Ciononostante, ci si commuove e ci si emoziona, anche grazie all’ottima recitazione di Camacho e Moretti. Sguardi e silenzi che parlano di emozioni in un modo più vero di qualsiasi parola.

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