99 Homes – Recensione

La manifestazione di Venezia 71 è un nastro continuo di proiezioni di film decisamente a nastro continuo. Ed ecco perché la recensione di 99 Homes approda solamente ora sulle nostre pagine, complici connessioni internet affollatissime.

Dall’operaio umile, tutto lavoro e famiglia, al cinico e disinteressato speculatore; tutto questo è 99 Homes.
Il regista del film, Ramin Bahrani, già presente due anni fa, quando presento At Any Price, con protagonisti Zac Efron e Dennis Quaid, si cimenta ancora nei problemi comuni delle famiglie americane (in questo senso, vi è un approfondimento maggiore qui che in At Any Price, con una storia azzardata e che per altro non ha ancora una data di uscita).
Il film, in concorso, è di quanto più contemporaneo ci possa essere e di come possa prendere in considerazione tutti; la crisi economica.

Dennis Nash (Andrew Garfield) è un giovane padre, che si cimenta nei lavori manuali più disparati per poter mantenere la madre (Laura Dern) e il figlio.
La ditta per cui lavora fa fallimento e manda in crisi tutti; gli avvisi di garanzia per il pignoramento della casa erano attivati da tempo, ma come ci pone Bahrani, credo che chiunque cerchi di farsi finta di niente, per sentirsi meglio, almeno superficialmente e non dare dispiaceri.
Lo sfratto è immediato; a questo ci pensa Rick Carver (Michael Shannon), imprenditore edile che lavora per il governo (approfittandosene per soli affari personali.
La soluzione è andare in un motel, frequentato da chi come loro, ha avuto la stessa triste sorte (sembrerebbe che Garfield abbia passato diverse settimane in un motel per svolgere al meglio la parte).
Carver, d’altra parte sembra dispiacersi dell’accaduto, ma ciò dura poco; cercando di assumere il ragazzo per poter ridargli la sua casa e condizioni economiche favorevoli, non fa altro che servirsi di lui per i suoi puri scopi loschi e finanziari.

Il sistema è produrre carte false, pur di mandare fuori di casa gente semi-impotente alle sue condizioni di crisi, e accaparrarsi case e proprietà, di qualsiasi genere, di lusso o non.
Un bisogno di Carvert, quanto quello di Nash, ovvero di riavere la propria casa, un lavoro, e condizioni quantomeno buone, soprattutto per la vita sociale e scolastica di suo figlio.

Bahrani è molto bravo nella contrapposizione tra persone; in questo caso tra capo e “apprendista”, in At Any Price tra padre e figlio; il tutto si concentra soprattutto sul mutamento dei personaggi che della crisi economica e politica che viene di fatto delineata alla cornice.
Quello che preme sottolineare è la visione di prospettiva, cioè di come il personaggio di Carver sia stato inserito in modo brillante, per far emergere di come tutti, indistintamente, siamo solo delle pedine nelle mani del governo, dei potenti e questo fa si che chi è duro di cuore tira avanti, e chi non lo è, soccombe.
le interpretazioni sono molto buone; si vede un Garfield (forse un po’ poco credibile nei panni del padre) con una recitazione molto buona mentre Shannon si riconferma un attore eccelso, anche se sempre nelle parti “cattive” (sempre lui fu a Venezia due anni fa per il film The Iceman).
Un film, che analizza più la persona che il contesto generale in sé, tutto sommato non è male; caruccio sarebbe il termine giusto.

Valutazione complessiva: 2,5 su 5!

Articolo di Mara Siviero

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