Wim Wenders, ormai habitué della Mostra di Venezia, porta quest’anno al Lido la sua nuova opera in 3D: Les Beaux Jours d’Aranjuez.
Wenders spiega cosa lo abbia spinto a trattare un argomento come le differenze fra uomini e donne: “La storia dell’umanità inizia proprio da questa differenza con un uomo, una donna e una mela. La differenza fra i generi ha portato guerre, conflitti, ma anche la cosa più bella del mondo cioè l’amore.”
Sulla scelta del 3D, il regista tedesco fa notare come il film sia ambientato in un giardino che sembra un paradiso: “Cercavo un posto in cui girare senza essere interrotto, con il solo rumore del vento e degli uccelli” spiega Wenders, secondo cui il 3D era il modo migliore per trasportare il pubblico in quello stesso luogo. Una tecnologia non nuova al regista, che è però convinto di non averla mai utilizzata così abilmente, riuscendo a trasmettere pace.
L’attore Jens Harze rivela di aver avuto la possibilità di assimilare la pièce originale a teatro: “Quando Wim mi ha chiesto se volessi il ruolo, avevo il vantaggio di conoscerlo avendolo interpretato l’ultima volta 9 mesi prima.” Ricorda l’interprete. “È stato facile entrare nel mondo del film, anche se teatro e cinema si distinguono molto.”
Nonostante poi la co-protagonista Sophie Semin affermi che sia stato Wim a sceglierla, il regista la corregge: “No, non mi hai lasciato altra scelta. Peter [Hande, autore dell’opera originale e co-sceneggiatore del film con Wenders, ndr] aveva scritto il testo per te e quando ho iniziato a leggerlo, sentivo già la tua voce.”
Questo è inoltre il primo film in lingua francese di Wim Wenders, che grazie a questo suo lavoro ha scoperto la bellezza di quella lingua, che ritiene riuscire a trasmettere “una vera leggerezza dell’essere.”
Essendo sempre stato influenzato dal cinema francese, il regista ha ammesso che anche qui è stato ispirato da registi quali Èric Rohmer, nei cui film spesso apparivano giardini.
Infine, il regista ha espresso il suo pensiero riguardo il futuro del cinema e quando gli viene detto che il direttore della Mostra Alberto Barbera è ottimista, Wenders replica:
“Spero davvero che abbia ragione. Il cinema è uno degli ultimi posti in cui possiamo immergerci in una storia senza distrazioni; è una rarità. Mi capita di vedere ragazzi che guardano film sui piccoli schermi dei cellulari e, se da una parte sono contento perché stanno guardando i miei film, dall’altra penso: ‘Perché ho dovuto passare tanti problemi a fare questo film se non verrà visto in un cinema?’. Le storie che raccontiamo hanno bisogno di un luogo in cui andare.”