The Interview: le critiche non si placano!

Tra smentite, minacce, cancellazioni e ritrattazioni, alla fine The Interview  di Seth Rogen e James Franco è uscito a Natale nelle sale americane. Il film parla della storia surreale del produttore Aaron Rapoport e del conduttore di un talk-show Dave Skylark, inviati in Corea del Nord per intervistare il dittatore Kim-Jong Un e, approfittando dell’occasione, la CIA li incaricherà di assassinare l’uomo coinvolgendoli in un piano top-secret che però rivelerà la loro assoluta incapacità di compiere l’azione. Ridotto nella distribuzione, ma non negli incassi, tanto che su 300 sale su cui è stato proiettato (rispetto alle 3.000 previste) ha incassato il primo giorno di proiezione quasi un milione di dollari e ha superato, secondo Torrent Freak, più di 750.000 visioni pirata in giro per il mondo nelle prime 20 ore. Numeri considerevoli per un film che non è, ancora adesso, esente da critiche; nonostante l’innegabile affluenza, infatti, il film non ha riscosso lo stesso successo da parte del pubblico, che, sul sito Rotten Tomatoes, è stato definito come una: “sceneggiatura dalle mediocri risate, sorretta solo dalla simpatia dei due attori”. 

Non si è fatta attendere la reazione dalla Corea del Nord, che rispondendo attraverso la Commissione Nazionale della difesa, giudica il film come “disonesto, reazionario e inneggiante al terrorismo”, e rivolgendosi al Presidente degli Stati Uniti in tono molto duro, lo definisce così:

come una scimmia nella foresta tropicale, Obama diventa sempre sconsiderato in parole e azioni…

E nello stesso comunicato, accusa di aver privato il Paese delle sue connessioni internet all’inizio della settimana – lunedì la Corea era rimasta isolata per nove ore – e di aver “collegato, senza fondamento, l’attacco di pirati informatici contro la Sony Pictures Entertainment alla Corea del Nord”.

Come lo si voglia vedere, un film definito mediocre ha creato intorno a sé una grandissima attenzione che da solo non avrebbe ottenuto passando in sordina, e questo è un dato di fatto. Ma errato, a mio avviso, sarebbe definire tutto questo una mera azione di marketing; non sarebbe giusto nei confronti della Libertà di Parola, perché la vera risposta di fronte alle minacce non è stata data da Obama e nemmeno dalla Sony, che ritornando sui suoi passi ha deciso di distribuire il film, ma dalla gente che ha deciso di andare a vederlo, di dare un segnale forte e di non voler rinunciare ad un principio che troppo spesso è facile citare, ma difficile difendere.

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