Dimenticatevi i Vampiri in stile “Twilight” o “Vampire Diaries”, sono roba da adolescenti brufolosi vittime degli ormoni e mammolette.
Dimenticatevi le versioni affascinanti che spesso ci ha propinato il cinema, senza nulla togliere al “Dracula di Bram Stoker” (1992) di Francis Ford Coppola o all’ “Intervista col Vampiro” (1994) di Neil Jordan, tratti da libri (in particolar modo il primo) divenuti ormai classici del genere.
Cancellate dalla vostra memoria l’immagine bella e patinata del vampiro moderno e sostituitela con quella di una sorta di larva biancastra, ingobbita, glabra e malaticcia, con mani dalle lunghe dita ossute e artigli affilati. Nessuna donna bellissima al suo fianco, nessun amore ma solo la fame e una brama disperata di suggere la vita da un corpo inerte.
Pensate alla versione archetipale del mostro che vive nelle tenebre, privo di fascino e poesia. Pensate al Nosferatu, parola rumena che significa letteralmente “non spirato”, ovvero “non morto”.
Il Nosferatu fu protagonista di una delle pellicole più famose del regista e sceneggiatore Friedrich Wilhelm Murnau, esponente dell’espressionismo cinematografico tedesco, al fianco di Robert Wiene (“Il Gabinetto del Dottor Caligari”, 1920), Paul Wegener (“Il Golem”, 1914) e Fritz Lang (“Metropolis”, 1927).
Liberamente ispirato (tanto liberamente da essere stato condannato per violazione dei diritti d’autore…) al libro dello scrittore irlandese Bram Stoker, il Vampiro di Murnau è assai distante dall’immagine che ne ha fornito Coppola nella sua versione.
L’espressionismo tedesco, che trovò la sua estrinsecazione in particolar modo nella pittura e nella letteratura, si estese alla settima arte con lo sviluppo della casa di produzione cinematografica tedesca U.F.A. – Universum Film AG, fondata nel 1917. Caratteristica del movimento fu l’esasperazione della visione soggettiva dell’osservatore, slegata dal contesto fisico e materiale, ma concentrata sull’esperienza emotiva vissuta in maniera totalizzante.
Approfondimento : l’Effetto Schüfftan
Prende il nome dal direttore della fotografia che l’ha ideato e si basa sull’utilizzo di uno specchio biriflettente posto a quarantacinque gradi rispetto alla macchina da presa, in modo tale da riprodurre l’immagine di oggetti posizionati frontalmente che possono così venire ingranditi. Per introdurre gli attori nell’inquadratura, viene rastremata una parte del vetro, in modo tale da integrare i personaggi e le azioni reali con ambientazioni create artificialmente. E’ l’antenato del Chroma Key e del Matte Painting. Venne utilizzato in particolar modo in film quali il summenzionato “Metropolis” e “Il Mago di Oz” (1939) di Victor Fleming.
Da qui l’utilizzo di primi piani deformanti, sfondi dipinti dalle ombre impenetrabili, città come ammassi di edifici dalle forme bizzarre che si chiudono sull’osservatore in un claustrofobico viaggio nella psiche. La psicoanalisi, corrente di pensiero, scienza, nuovo modo di concepire la mente umana in rapporto al corpo e alla realtà, la fa da padrona nei film espressionisti. Offre la spinta necessaria a quell’approfondimento psicologico indispensabile per comprendere la realtà post bellica e trovare una via per venire a patti con una società in veloce mutamento.
“Nosferatu”, uscito nel 1922, rappresenta una paura ancestrale che già faceva parte dell’immaginario tedesco a partire dal tardo Medioevo. Associata al terrore della peste, la figura del succhiatore di sangue si confonde con quella dell’avido signore feudale e del viscido usuraio ebreo tanto da essere stata ripresa dalla propaganda nazista a fini antisemiti.
Il Conte Orlok, simile ai roditori portatori della Morte Nera, si aggira per le strade di Brema come un’ombra sinistra e silenziosa, viscido predatore di vita che chiederà il sacrificio di un’anima pura per essere sconfitto.
Il disagio dell’uomo moderno diventa palpabile ed è interessante notare come la tensione dell’essere umano verso lo sviluppo tecnologico si configuri in modi tanto diversi in un paese come la Germania, con questo suo espressionismo cupo e introspettivo, caratterizzato da una certa paura del futuro, e in uno come l’Italia di quegli stessi anni avvinta dalle teorie Futuriste, concentrate verso lo sviluppo della macchina e la velocità d’azione e di pensiero.
Tornando al cinema, del film muto di Murnau, è stato girato un remake nel 1979, “Nosferatu, il principe della notte”, diretto da Werner Herzog e interpretato da un inquietante e azzeccatissimo Klaus Kinski. Herzog, ammise di aver voluto rigirare la pellicola per creare una sorta di collegamento tra il grande cinema tedesco del passato e il cosiddetto “nuovo cinema tedesco”, del quale è un esponente. A differenza che nell’originale, in questa versione, il mostro, viene utilizzato dal regista per personificare il disagio dell’emarginato, del diverso, dell’escluso, in una Germania alla ricerca di una redenzione impossibile.
L’immagine raccapricciante e priva di moralità del vampiro archetipale, portato sullo schermo nell’originale da Max Schreck (anche se leggenda vuole che sia stato lo stesso Murnau ad interpretare il suo cinematografico figlio degenere…) si discosta da quell’aura di erotismo che è divenuta un marchio (d’infamia?) del moderno non-morto, per rappresentare il decadimento, l’incertezza e la morte storica non solo della borghesia tedesca degli anni ’20, ma anche dell’uomo in quanto tale, ricettacolo di paure, fanciullo incapace di affrontare un destino mai come allora incerto.
Cos’è cambiato rispetto a quell’epoca lontana? O forse sarebbe il caso di domandarsi se effettivamente sia cambiato qualcosa.
Non abbiamo forse le stesse paure? Non temiamo forse, oggi come quasi un secolo fa, ciò che si cela dietro alla porta socchiusa che rappresenta un nuovo domani?
Abbiamo reso i mostri accettabili, pallidi ricordi di ciò che sono in realtà.
Il lupo mannaro è la bestia governata dall’istinto non un ragazzino belloccio a petto nudo, così come il vampiro non è un essere affascinante guidato dall’amore per una donna che non può avere ma una rappresentazione di ciò che di marcio alberga nell’animo umano e nella società.
Quando la paura non ha più un volto riconoscibile, forse scompare?
No, diventa un terrore senza nome.
Incontrollabile.