Parlare di West Side Story (Robert Wise, Jerome Robbins 1961) significa ritornare in un tuffo tra la 68° e la 110° Strada della New York degli anni Cinquanta, mentre sullo sfondo (storico e reale) di una era kennediana che sembra davvero far sperare in un “American Dream”alla portata di tutti, già dilagano a ben guardare conflitti razziali e degradazione urbana.
Numeri alla mano: due sono le bande rivali metropolitane (i Jets, bianchi e gli Sharks, portoricani) che si fronteggiano e che si oppongono all’amore improvviso scoppiato tra Maria e Tony, novelli Romeo e Giuletta, rei solo di appartenere a due “branchi” diversi. Tre gli snodi (vita, amore e morte) di questa storia, così come quelli della tragedia classica; dieci invece i premi Oscar vinti dal film in quel lontano 1962 (film, regia, fotografia, attore e attrice non protagonista, costumi, scenografia, montaggio, colonna sonora e premio speciale alla coreografia). Adattamento cinematografico dell’omonimo musical presentato a Broadway appena una manciata di anni prima (nel 1957) e scritto da Arthur Laurents, il film è l’opera musicale che ha ricevuto il maggior numero di premi Oscar.
West side story: tre parole. Un po’ come il trittico fondamentale (lui, lei, gli altri) per l’esistenza di tutti i matrimoni che non s’hanno da fare né domani, né mai. Qui il Technicolor e le note di canzoni mitiche come America e I feel pretty (firmate da Bernstein e Sondheim) ci mostrano giovani che danzano leggeri, come per liberarsi da un loro eccesso di vitalità.
Anche se il musical del 1961 è considerato ormai una pietra miliare della storia il cinema, la Fox ha finalmente “sbloccato” il film, in modo da poter fare dell’opera l’oggetto di un tanto atteso remake.
Steven Spielberg pronto al lavoro con West Side Story
Nel sistema degli studios e delle case di produzione una mossa del genere rivela una prima dichiarazione artistica di intenti: la cessazione del “veto” è infatti arrivata proprio perché il regista Steven Spielberg è interessato a lavorarci. Nessun scrittore o sceneggiatore è ancora stato tirato in ballo, ma Spielberg ha fatto registrare la sua propensione nei confronti di un prossimo remake. Un primo step che dalle parti di Hollywood tradizionalmente è sempre stato sufficiente per tenere una casa cinematografica sulle spine, in bilico tra tensione e sana eccitazione produttiva .
Tra questo progetto e l’avvicinamento di Fox e DreamWorks si colloca poi anche Robopocalypse, opera fantascientifica tratta dal romanzo di fantascienza di Daniel H. Wilson e con una sceneggiatura scritta da Drew Goddard; Spielberg, nonostante la precedente uscita del suo Lincoln e la battuta d’arresto ai lavori di circa un anno fa, ha dichiarato che lo dirigerà. Sembrerebbe facile quindi ipotizzare il regista impegnato a dirigere i suoi film alla Fox per i prossimi anni, soprattutto se Stacey Snider, produttrice e presidente della Dreamworks a fianco dello stesso Spielberg, dovesse trasferirsi presso gli uffici Fox alla scadenza del suo contratto attuale prevista per fine anno. La Snider, producer dalla grande esperienza, potrebbe essere davvero disposta e propensa a farlo.
Storicamente corre l’anno 1994 quando lo studio DreamWorks SKG viene fondato da Steven Spielberg (già co-fondatore della Amblin Entertainment), Jeffrey Katzenberg (precedentemente capo del reparto animazione della Walt Disney) e David Geffen (fondatore della Geffen Records, importante casa di produzione discografica), anche grazie ad un finanziamento da parte del co-fondatore della Microsoft Paul Allen. Ma già nell’ottobre 2003 lo studio viene venduto alla Universal. Ad oggi, scorrendo i suoi recenti titoli – dall’imminente Need for speed diretto da Scott Waugh quest’anno e di prossima uscita, al buon Il quinto potere di Bill Condon del 2013, le cui aspettative sono state però disattese purtroppo dal flop al botteghino, fino al colpo e al successo di The help diretto da Tate Taylor nel 2011 – la Dreamworks appare senza dubbio una casa di produzione solida e coerente, ma dall’andamento produttivo quasi “ordinario”. E in pratica anche un progetto come West Side Story potrebbe delinearsi attraverso proprio l’avvicinamento Fox quale possibilità per svolte future. Alla DreamWorls lo stesso Steven Spielberg ha lavorato all’identità dello studio (si pensi ad esempio, al primo Transformers del 2007, circostanza in cui il cineasta influisce molto sul film, sull’umanità dei suoi protagonisti e per il quale decide di chiamare Michael Bay a dirigerlo), poi nel 2005 è la volta del passaggio alla Universal: Spielberg ha conosciuto tanti successi (come il suo Munich diretto proprio nel 2005) e Stacey Snider è stata la presidente dello studio. In fondo il punto di forza di questa società è (ed è sempre stato) Spielberg, ma come regista: è lui infatti che segue il suo istinto e la sua ispirazione quando sceglie in merito alla direzione dei film. Tutti si chiedono cosa succederà adesso alla DreamWorks, ma sembra abbastanza plausibile, come in passato col divorzio Paramount, la già menzionata assimilazione Fox di tutti i progetti in corso, anche se una ipotesi alternativa potrebbe essere la loro ricaduta sotto l’ala protettrice e creativa di Spielberg a Amblin.
Di certo ce la sentiamo di affermare che il coinvolgimento del regista con West Side Story, sebbene la valutazione di una uscita del film sia ancora lontana, lascia senz’altro ben sperare. Il suo unico remake è stato La guerra dei Mondi diretto nel 2005 a rifacimento dell’omonimo film di Byron Haskin del 1953.
Una sorta di “ultimo incontro” di Spielberg con gli alieni, tra angosce collettive (la guerra tra il nostro mondo e il nostro modello di vita e quelli dei tremendi marziani che minacciano il pianeta, abbattono palazzi e polverizzano uomini) e disagi privati (un padre e i suoi due figli) in un convulso di dilagare di terrore alieno. L’impianto spettacolare, le visioni apocalittiche e il ritmo ascendente ci confezionarono allora un riuscito ed avvincente prototipo del genere catastrofico, perfezionato dagli imponenti effetti speciali del digitale.
Insomma un “precedente”più che positivo, non ci resta che aspettare.