Massimo Troisi: il ricordo a venti anni dalla scomparsa

Massimo Troisi (San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – Roma, 4 giugno 1994)” sono le primissime parole che vediamo sulla scheda dell’attore, nell’enciclopedia libera di Wikipedia. Ed è facile vedere come l’anniversario della sua scomparsa ricorra proprio oggi. I lettori sanno una cosa, ovvero che solitamente cerchiamo di essere neutrali e imparziali nella scrittura, ma oggi, a chi scrive, questo non riuscirà particolarmente. La premessa è d’obbligo per chi desidera proseguire nella lettura, perché questo articolo sarà una commemorazione di un grandissimo attore italiano, corredato da ineguagliabili ricordi personali.

Correva qualcosa dei primi anni 2000, in piena adolescenza di chi scrive, quando in televisione passò un film geniale, rivisto più e più volte negli anni a seguire: Non ci resta che piangere. Roberto Benigni era un attore che già si stimava e apprezzava incredibilmente (Il Piccolo diavolo e il “modello Giuditta” erano già nel gergo domestico), per una comicità intelligente e particolare (ma da queste parti si guardava precocemente anche Woody Allen, scoperto in prima o seconda media con un giovanile e geniale Il Dormiglione), era un nome che si sentiva nominare spesso anche dalla televisione, mentre risultava un po’ meno noto quel tale, quel Massimo Troisi. Meno noto ma, a giudicare da come se ne parlava, di certo non meno bravo. Ma quel film, uno strano spaccato di storia, un viaggio nel tempo che è quasi un sogno, è rimasto nel cuore.

Ma Massimo Troisi non era nato al cinema. Anni dopo, crescendo, con un progressivo avvento di Internet, si scoprì che c’erano tanti suoi lavori precedenti, legati al teatro e all’epoca di comicità napoletana culminata nel gruppo La Smorfia, assieme a  Enzo Decaro e Lello Arena. E ancora oggi, in queste mura domestiche (genovesi, lontane dalla geografia de La Smorfia ma assolutamente vicine al modo garbato e senza tempo di far ridere e sorridere), se si deve annunciare qualcosa di importante, si batte un piede per terra e si dice «Annunciazione, annunciazione!»

La potenza di ciò che è senza tempo, è enorme. La vera genialità, nel cinema come in ogni arte possibile nella vita, è creare qualcosa che sia eterno. Qualcosa che non sia legato solamente a una cronaca del momento, una forma di satira legata alla contingenza, ma un modo di dare voce e colore che travalichi i decenni. Se avete sorriso, a quest’ultimo sketch de La Smorfia, avete visto che è datato 1979. Trentacinque anni fa, ma non ha limite nel strappare un sorriso a chiunque.

E dopo La smorfia, il cinema: Ricomincio da 3, Non ci resta che piangere, Pensavo fosse amore… E invece era un calesse. Fino all’ultimo film, quello forse più famoso e noto al pubblico. Il Postino. D’altronde, fu uno dei film italiani che partecipò, negli anni, agli Oscar. 1996 e nomination come Miglior attore per Troisi e Miglior Sceneggiatura Non Originale. Ma Massimo Troisi non poté mai godere della gioia di concorrere per un premio simile, perché a sole dodici ore dalla fine delle riprese, il suo cuore cessò di battere. Troisi soffriva di una deformazione cardiaca per la quale aveva già sostenuto diversi interventi negli Stati Uniti (siamo nella prima metà degli anni ’70 quando gli venne diagnosticata la patologia, interventi simili erano al massimo dell’avanguardia solo oltreoceano) , ma la cosa era nota solo ai suoi amici più stretti e familiari; non voleva che nulla di tutto ciò interferisse con la sua professione, oppure cercava quella riservatezza massima che, all’epoca, era ancora possibile. Nel 1994, mentre giravano il film, Massimo soffriva. Ma era enorme l’impegno per quel titolo che parlava di uno scrittore incredibile come Pablo Neruda e del suo esilio in Italia. Un impegno a cui, probabilmente, il suo cuore non ha retto. È mancato nel sonno, addormentandosi per non risvegliarsi più, ospite dalla sorella assieme al suo amico d’infanzia. Se ne è andato con le persone che erano più vicine.

Massimo Troisi ha lasciato una impronta forte, nel cinema italiano come entità e nel cuore cinematografico di molti spettatori. Ha avuto la grandezza e la semplicità di enormi personaggi a cui è stato paragonato, da Totò a Eduardo De Filippo, eppure non voleva essere paragonato a loro. Voleva una propria identità, anche in quel miscuglio di italiano e napoletano che però suonava musicale a chiunque, e quando gli è stata riconosciuta, purtroppo era postuma.

Grazie per tutto quello che ci hai dato, grazie per tutto quello che continuerai a darci. Ciao Massimo.

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