Guardandosi attorno, all’interno dell’industria cinematografica, salta all’occhio come in quest’ultimo periodo il grande schermo stia proponendo, con frequenza sempre maggiore, lavori le cui storie sono tratte direttamente dalle Sacre Scritture.
Seppur non arrivato da noi, “Son of God”, diretto da Christopher Spencer e tratto dalla mini-serie “La Bibbia”, è stato protagonista in America di un successo inaspettato; la pellicola, che segue l’intera vita di Gesù, dalla nascita fino alla resurrezione, si è aggiudicato il titolo di secondo miglior esordio per un titolo religioso, dietro “La passione di Cristo” di Mel Gibson, nonostante le critiche mosse da alcuni per la scelta di un attore troppo sexy nel ruolo del Messia. Solo a un mese fa risale invece il successo di “Noah” di Darren Aronofsky, trasposizione cinematografica del diluvio universale, criticato da molti per le troppe licenze artistiche, capace comunque di superare i 300 milioni di dollari di incasso, quasi il triplo del budget iniziale.
Ma qual è la chiave del successo di questi film? Parlano di figure ed eventi lontani, che molti conoscono per forza di cose, ma non nel dettaglio; si tratta di vicende nei confronti dei quali lo scetticismo regna sovrano eppure, in un’era in cui il numero di fedeli è in costante diminuzione, la grande forza del genere deriva dal grande pubblico non necessariamente credente. Viene allora da domandarsi, come possono pellicole di carattere sacro raggiungere persone tendenzialmente disinteressate alla sfera religiosa?
ORIGINI DI UN SUCCESSO ANNUNCIATO
In realtà, il modo di intendere la sacralità è cambiata nel corso degli anni e il cinema l’ha rappresentata in modo differente in base al periodo storico, all’autore coinvolto e al tipo di pubblico a cui l’opera era rivolta. Storicamente, furono proprio gli uomini di chiesa i primi a utilizzare le proiezioni per narrare vicende bibliche, adoperando le cosiddette lanterne magiche, dispositivi che permettevano di proiettare sulle pareti delle immagini dipinte, in un modo del tutto simile a quello dei moderni proiettori. Per le ovvie limitazioni tecnologiche, queste proiezioni erano utilizzate principalmente per accompagnare le orazioni e diffondere il messaggio cristiano, ma già allora, quando nel 1680 Athanasius Kircher promosse l’utilizzo delle lanterne, si accesero numerose polemiche riguardanti questa tecnica, che si pensasse fosse utilizzata dai preti per convincere i fedeli della loro abilità di controllare luce e oscurità assieme.
Nonostante queste accuse, già presenti secoli fa e oggi all’ordine del giorno, missionari e predicatori continuarono tuttavia a narrare il Vangelo con le lanterne fino all’800, quando cominciò a comparire il cinema, come lo intendiamo oggi, nelle sue fasi primordiali e furono loro tra i primi a capirne le potenzialità; nel 1899 Herbert Booth, membro dell’Esercito della Salvezza, scrisse e diresse “Soldiers of the Cross”, che seppur consistente nella proiezione di una serie di immagini in successione, accompagnate dalla musica e da alcune letture, viene da molti citato come uno degli antenati dei primi lungometraggi.
All’inizio del XX secolo, separandosi da quell’immagine conservatrice che spesso attribuiamo alle alte cariche religiose, la Chiesa Protestante cominciò a sostenere l’uso del cinema, consapevole delle sue possibilità; negli Stati Uniti gli anni ’20 passano alla storia come gli Anni ruggenti e, in pieno boom economico e sviluppo industriale, il cinema subì una spinta enorme. La ricchezza di quel periodo, che in America sembra inondare le strade, riempie di fiducia la gente; una parentesi che davanti alla facciata sgargiante nasconde numerose zone d’ombra in cui regnano misteri e dissolutezza. Hollywood comincia a investire grosse somme nelle produzioni e proprio in questi anni compaiono i primi grandi film biblici; il cinema sacro, originariamente fatto da fedeli per i fedeli o con lo scopo di diffondere il messaggio cristiano, passa nelle mani dei grandi produttori americani, che unendo le potenzialità del mezzo cinematografico al richiamo di argomenti biblici, danno vita a produzioni laiche di proporzioni mastodontiche. Gli americani già intuiscono che non basta una storia collaudata come quella narrata dalle Scritture per raggiungere il successo e investono centinaia di migliaia di dollari per dare vita a quelli che oggi chiameremmo comunemente “blockbusters”.
IL PATTO TRA DIO E IL BLOCKBUSTER
Nel 1923 esce infatti il film muto “I dieci comandamenti”, diretto da Cecil B. De Mille, che racconta l’Esodo degli ebrei guidati da Mosè. Nel suo essere didascalico, il film di De Mille, che racconta la storia degli ebrei seguita da una contemporanea su due fratelli, l’uno peccatore e l’altro devoto, rappresenta il primo passo verso quelle enormi produzioni che segneranno gli anni a venire; basti pensare che il film di De Mille contò su un budget superiore al milione di dollari (all’epoca una cifra esorbitante), impiegando circa 2500 comparse e 4000 animali. Raccontando la storia di Mosè e rappresentando al contempo uno specchio della realtà di quegli anni, il film si assicura il successo e getta il seme per i film di genere che seguiranno.
Un’ulteriore trasformazione avviene negli anni ’50; a pochi anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, il mondo è ancora in preda al terrore e in America si cerca di contrastare il fantasma del comunismo. La gente ha più che mai bisogno di punti di riferimento e proprio in quel periodo nascono i miti di James Dean e Marlon Brando, giovani ribelli idoli delle folle. Hollywood ha nuovamente il colpo di genio e ripropone kolossal biblici che sappiano impressionare e che dipingano i forti protagonisti come uomini da ammirare. Grazie a un impianto ancor più spettacolare, che acquista peso rispetto all’elemento teologico, ottenuto attraverso l’uso del Techicolor e del salto tecnologico proprio di quegli anni, nelle sale arrivano pellicole imponenti che sarebbero entrate di diritto nella storia del cinema, primo fra tutti il remake de “I dieci comandamenti” realizzato dallo stesso De Mille nel 1956.
In questa versione, che divenne la più nota e di successo, le vicende ruotano esclusivamente attorno alla figura di Mosè e del suo ruolo di liberatore del popolo ebraico. De Mille ripete l’exploit di 30 anni prima e il titolo registra uno dei più grandi incassi della storia del cinema, potendo contare su un budget decuplicato rispetto all’originale del 1923. Charlton Heston, protagonista del film, diviene icona del genere e tre anni dopo, diretto da William Wyler, dà il volto a Ben-Hur, nell’omonima storica pellicola che oltre al successo di pubblico e di critica riesce a conquistare 11 Oscar, record finora eguagliato solamente da “Titanic” e “Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re”.
I progetti elaborati durante questi anni mostrano come il materiale biblico non sia affatto intoccabile e di come la fedeltà al testo e il suo messaggio possano essere messi in discussione e alterati a vantaggio dell’intrattenimento o di una visione più personale dell’autore. La seconda metà del XX secolo fece tesoro di quanto imparato negli anni precedenti e cominciò a sfornare film controversi, simbolo di un periodo incerto, che culminò con la follia della guerra del Vietnam, e caratterizzato dalla corsa allo spazio, che aveva reso possibile qualcosa finora solo sognato, segnando una sorta di superamento di quel limite, quelle Colonne d’Ercole, per molti uomini insuperabile. Tutto viene nuovamente messo in discussione e oggetto di questo stravolgimento è ovviamente la veridicità del Testo Sacro e più in generale il senso della fede, che sul grande schermo è sempre più rappresentato attraverso una commistione dei generi.
ANNI ’70: QUANDO LA FEDE NON BASTA
Negli anni ’70, assieme a film che affrontavano il lato oscuro della fede, come “L’esorcista” di William Friedkin, che venne addirittura accusato di contenere il diavolo nella stessa pellicola, arrivò un’ondata di titoli che suscitò grande sdegno da parte della Chiesa, che si fece sempre più attiva nel criticare quelle produzioni che si prendevano troppe libertà. Nel 1974 e nel 1979 uscirono “Monty Python e il Sacro Graal” e “Brian di Nazareth”, entrambi dei Monty Python, famoso gruppo comico inglese; la prima pellicola ridicolizzava la ricerca del Graal e la figura di Dio nell’affidare a re Artù la missione con lo scopo di trovare la reliquia, ma fu un enorme successo al botteghino, risultando il film inglese di maggior successo in America nel 1975. Reduci dal successo del progetto, girato con un budget molto basso, i Python riproposero tematiche cristiane andando a raccontare le vicende di Brian, un giudeo nato lo stesso giorno di Gesù, nella grotta accanto, che seguirà un percorso molto simile a quello che condusse Cristo alla crocifissione. La pellicola fu attaccata dal mondo cristiano e venne censurata e bandita da molti cinema inglesi e da nazioni come la Norvegia; due componenti del gruppo comico, John Cleese e Michael Palin, vennero addirittura ospitati in una trasmissione televisiva per difendere la propria opera confrontandosi con il vescovo di Southwark e il giornalista e studioso del cristianesimo Malcolm Muggeridge, che criticarono la blasfemia presente nella pellicola, nonostante fossero arrivati in ritardo alla proiezione perdendo la sequenza in cui Brian e Gesù vengono esplicitamente rappresentati come due personaggi differenti. Gli stessi Cleese e Palin sostennero che al contrario del film precedente, “Brian di Nazareth” non si faceva beffe della figura di Cristo, proprio perché i comici avevano notato che la figura di Gesù non presentava elementi su cui fare ironia.
Come se la commedia non bastasse, nel 1973 Norman Jewison portò al cinema “Jesus Christ Superstar”, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale di Andrew LLoyd Webber e Tim Rice. Unendo elementi religiosi alla culture hippie dell’epoca, il regista rappresentò la passione di un Cristo umano e insicuro, come la maggior parte della popolazione del tempo, filtrata attraverso gli occhi di Giuda Iscariota, l’apostolo che tradì Gesù, qui quasi nelle vesti di protagonista e verso il quale è difficile non provare un briciolo di empatia; il tutto sotto forma di musical. I commenti negativi non mancarono, ma il suo carattere unico consentì alla pellicola di racimolare abbastanza e guadagnarsi il titolo di cult.
LA BIBBIA NEL XXI SECOLO
A partire dagli anni 2000 ci fu una vera e propria riscoperta del genere, che cominciò a essere mescolato spesso con elementi esoterici, vacillando tra fede e fantasia, o con una rappresentazione più che mai cruda degli eventi, cercando di suscitare quel senso di stupore sempre più difficile da far emergere nello spettatore moderno.
Esemplificativo è “La passione di Cristo” del 2004, ritorno alla regia di Mel Gibson a 9 anni da “Braveheart”; concentrandosi sulle ultime ore di vita di Gesù, Gibson cerca di dare un’impronta realistica girando il film in latino e aramaico, ma la dose di violenza, da molti definita eccessiva, nonostante nella Bibbia se ne faccia uso abbondante, attira su di sé numerose critiche accompagnate dalle accuse di un presunto antisemitismo, derivato dall’aver dipinto gli ebrei come crudeli fautori della morte del Messia. Questo fervore creò tuttavia molto interesse attorno al film, risultando in un grande successo al box office.
La pellicola di Gibson è la prova di come, nel XXI secolo, l’approccio nei confronti del genere sia cambiato, sia da parte dei produttori che degli spettatori; avendo le polemiche il potere di affossare un film, ma anche quello di incuriosire il pubblico, negli ultimi anni le sale hanno cominciato a ospitare pellicole capaci di prendere il materiale religioso e farcirlo di elementi fantastici, spingendo l’acceleratore sugli elementi di maggiore intrattenimento, ma volendo al contempo mantenere un tono epico. Riproponendo una manovra simile a quella attuata negli anni ’50, arrivano film che sembrano voler proporre una visione alternativa e ragionata delle vicende bibliche così come le conosciamo, ma in questi casi il giudizio oscilla pericolosamente tra effettiva prova di coraggio e abile furbata, volta ad attrarre lo spettatore incuriosito e magari divertito all’idea di vedere un’icona religiosa in vesti non convenzionali, a tratti simile a un eroe action.
Volendo tralasciare il recente “Noah” e facendo un salto indietro di qualche anno, nel 2006 uscì “Il Codice Da Vinci”, tratto dall’omonimo romanzo bestseller di Dan Brown e trasposto sul grande schermo da Ron Howard. Il film, così come il libro, suscitò scalpore per la mistificazione di vari assunti cattolici, sostenendo una discendenza di Gesù, nata dall’unione con Maria Maddalena; nonostante l’opera originale sia da considerarsi di pura finzione, molti esponenti della Chiesa Cattolica ne criticarono l’errata ricostruzione storica e minacciarono di intraprendere azioni legali per offese e boicottaggi, minacce che l’attore Ian McKellen reputò “patetiche”. Gli attacchi della comunità cattolica e una nomination al Razzie Award per Howard non influirono tuttavia sui risultati al botteghino, che registrarono un incasso di oltre 700 milioni di dollari. Insomma, gli americani ci avevano visto lungo ancora una volta e da allora il filone religioso, inteso come gigantesca produzione cinematografica, è letteralmente risorto.
A TOCCARE LA RELIGIONE SI GIOCA COL FUOCO
Seppur spesso protagonisti di successi al botteghino e al centro dell’attenzione mediatica, come si sarà ormai capito, non sono rare le occasioni in cui questi titoli generano polemiche e, nel corso degli anni, è capitato che la situazione degenerasse e non poco.
Ne sa qualcosa Martin Scorsese, che nel 1988 diresse “L’ultima tentazione di Cristo”. Il regista portò sul grande schermo il romanzo di Nikos Kazantzakis e l’immagine così mortale del Nazareno, interpretato da un Willem Dafoe capace di trasmettere tutti i dubbi e l’umanità di Gesù, destò numerose critiche, sfociate in violente azioni da parte di integralisti cristiani, che arrivarono ad attaccare i cinema e gli spettatori che avevano assistito al film, e portando alla censura, tutt’ora in atto, della pellicola in molti Paesi, tra cui il Cile, Singapore e le Filippine, che ne minarono pesantemente i guadagni al botteghino, superando di poco più di un milione di dollari il budget iniziale.
Nel 1999 uscì “Dogma”, commedia diretta da Kevin Smith che, raccontando le vicende di due angeli cacciati dal Paradiso (interpretati da Matt Damon e Ben Affleck), costruì una delle più discusse satire sulla Chiesa cattolica e la fede protestante. Per rimediare alle proteste, il regista inserì a inizio film una nota che evidenziava il carattere surreale della commedia (nonostante questa sia condita di un leggero sarcasmo), ma ciò non lo salvò da ricevere numerose minacce di morte, fortunatamente mai messe in atto.
Se queste azioni vi sembrano poca cosa, allontanandoci dai film di sola fede cristiana, a soli dieci anni fa risalgono le vicende del cortometraggio “Sottomissione (Submission)”, realizzato dal regista Theo Van Gogh e dalla scrittrice musulmana Ayaan Hirsi Ali, che denunciava gli abusi subiti dalle donne nel mondo islamico. La pellicola olandese venne ritenuta un insulto nei confronti delle comunità musulmane e portò all’assassinio del regista da parte di un fondamentalista residente in Olanda; la Ali, al tempo deputata olandese, fu costretta a girare con una scorta armata, ma divenne presto un personaggio scomodo e, abbandonata la carica di deputato, si trasferì negli Stati Uniti.
Due anni fa, invece, la situazione degenerò come mai prima d’ora a causa di “Innocence of Muslims”, un film antislamico inizialmente attribuito a un fantomatico israeliano di nome Sam Bacile, rivelatosi poi uno pseudonimo di Nakoula Basseley Nakoula, di origine egiziana e di religione cristiano copta. La pellicola fu promossa dal predicatore fondamentalista Terry Jones con lo scopo di mostrare “le ipocrisie dell’Islam e la sua fede distruttiva”; il film non fu mai proiettato, poiché il trailer pubblicato su YouTube venne immediatamente attaccato per aver dipinto Maometto come un sostenitore della pedofilia e un omosessuale, rappresentandolo in scene di sesso. Il film è stato alla base delle violenti proteste in Egitto e in altri Paesi Arabi e di fede islamica, tra cui l’attentato al consolato americano di Bengasi, causando centinaia di feriti e più di 50 morti. Vicende legali riguardanti il trailer si sono concluse solo a febbraio di quest’anno, quando YouTube è stato costretto a rimuovere il video, in seguito alla sentenza di un processo avviato in replica alla polemica dell’attrice Cindy Lee Garcia, ignara che la sua performance sarebbe stata utilizzata all’interno di un film antislamico.
IL FUTURO DEL CINEMA BIBLICO
Pensare che eventi del genere siano accaduti solo pochi anni fa, evidenzia quanto la religione sia un campo pericoloso in cui avventurarsi e non solo dal punto di vista economico. Nonostante ciò, i numeri parlano da soli e l’industria non sembra affatto intenzionata ad avere dei ripensamenti ed è più che mai decisa a investire sul genere; nelle prossime stagioni saremo infatti letteralmente seppelliti dalla pioggia di pellicole bibliche, alcune delle quali saranno nelle mani di alcuni maestri del cinema.
- “Exodus: Gods and Kings” di Ridley Scott sarà il primo a raggiungere le sale. È previsto per dicembre di quest’anno e racconterà nuovamente la storia di Mosè con un cast stellare composto da Christian Bale, Aaron Paul, Sigourney Weaver e Ben Kingsley; un Bale/Mosè con tanto di arco e frecce sarà il protagonista di un progetto che lo stesso regista ha definito “fottutamente gigantesco”. A realizzarlo è la 20th Century Fox.
- “Gods and Kings” e no, non ci siamo rimbambiti, perché è questo il titolo di un altro progetto basato sulla figura di Mosè, attribuitogli ancor prima che Scott cambiasse il nome del suo “Exodus”. Non si sa molto del film, se non che la regia, precedentemente affidata a Spielberg, è ora nelle mani di Ang Lee (“Vita di Pi”; 2012). La pellicola seguirà il salvatore degli ebrei dalla nascita fino al ricevimento dei Dieci Comandamenti e la Warner Bros. ha affermato che sarà “molto crudo”. Poco altro si sa del progetto.
- “Mary”, previsto per il 2015, racconterà una parte della vita di Maria, Giuseppe e Gesù mai raccontata prima. Un dramma religioso ad alto tasso d’azione che si concentrerà sulla figura della giovane Vergine, interpretata da Odeya Rush (“L’incredibile vita di Timothy Green”, 2012) e che rappresenta il prequel spirituale de “La passione di Cristo”, essendo la sceneggiatura opera dello stesso Benedict Fitzgerald del film di Gibson. A detta della Rush, “tracce di antisemitismo sono completamente assenti e anzi il film enfatizza le sofferenze inflitte dai Romani agli Ebrei in quel periodo”. Alister Grierson (“Sanctum 3D”, 2011) sarà alla regia e il cast comprenderà anche Ben Kingsley nel ruolo di Erode e Julia Ormond nei panni di Elisabetta, madre del Battista.
- Simbolica dimostrazione di un ritorno dei film religiosi ai fasti del passato, “Ben-Hur” tornerà al cinema con un remake annunciato dalla MGM e dalla Paramount Pictures. Diretto da Timur Bekmambetov (“Wanted”, 2008; “La leggenda del cacciatore di vampiri”, 2012), il titolo sarà prodotto da Mark Burnett e Roma Downey, produttori della miniserie televisiva “La Bibbia” e del film “Son of God”, intenzionati a risaltare l’aspetto della fede più di quanto avesse fatto l’originale.
E questi sono solo i progetti annunciati, perché nell’aria sembra esserci una pellicola dedicata a Ponzio Pilato, a cui sarebbe interessato Brad Pitt, l’intenzione di Will Smith di realizzare un film su Caino e Abele e un certo “Resurrection” con protagonista un soldato romano intento a investigare sulla morte di Cristo e paragonato a “Il Gladiatore” con un tocco di mistero.
L’ispirazione in grado di fornire la Bibbia e la religione in generale è quindi praticamente infinita e, come qualsiasi materiale analizzato e utilizzato da un autore, non ci sarebbe niente di male nel continuare a sfornare adattamenti finché questo viene fatto con la testa; seguire semplicemente la corrente e magari decidere di produrre un film di base sacra con il semplice vezzo di realizzare qualcosa di irriverente che conquisti un po’ di vanagloria, col tempo si ritorcerà contro l’industria che diventerà satura di progetti dello stesso filone, come da anni l’Italia lo è delle commedie e Hollywood dei blockbuster che trasudano steroidi, che possono sostenere il peso di un’evidente mancanza di idee fino a un certo limite. Dopotutto, per quanto gli spettatori si dividano in credenti, a loro volta di fedi differenti, atei, gnostici e così via, ciò che tutti gli spettatori vogliono trovarsi davanti quando entrano in sala è un buon film e allora ben vengano i film religiosi fintantoché siano affidati a gente competente e con delle idee che valga la pena di raccontare. Riusciranno le case di produzione a regalarci delle opere religiose originali e interessanti allo stesso tempo o ci troveremo di fronte a un’Apocalisse cinematografica? La risposta non tarderà sicuramente ad arrivare.