Le forze dell’ordine americane non scherzano, ma Shia LaBeouf, conosciuto dal grande pubblico come il bravo ragazzo della trilogia di Transformers, e nel recente ruolo in Nymphomaniac di Lars Von Trier, ci ricasca un’altra volta. Dopo un arresto nel 2007 a Chicago per non aver voluto uscire da un emporio della catena Walgreens, e la rissa scoppiata all’interno della Mad Bull’s Tavern di Sherman Oaks Los Angeles nel 2011 sedata solo dall’intervento della polizia, venerdì 27 giugno è stato infatti portato via in manette durante una rappresentazione di Cabaret allo Studio 54 di Broadway. Questo il resoconto della serata secondo testimoni oculari: mentre era in corso il primo atto dello show, LaBeouf in sala fumava e disturbava gli spettatori usando un linguaggio scurrile, e a quanto pare ha dato in escandescenze all’intervento della polizia. Uno degli interpreti, Danny Burstein, ha postato su Facebook dopo l’episodio: “Signori e signore, questa è la vostra chiamata per il secondo atto. E anche per farvi sapere che Shia LaBeouf è stato appena accompagnato fuori dal teatro in manette”.
L’attore è stato in seguito rilasciato. Ma questa è solo la fine, la nottata folle di Shia era iniziata ben prima. Due spettatori che si stavano recando a teatro hanno detto di averlo incontrato con una maglietta strappata mentre correva dietro a un barbone. Altri hanno detto di averlo visto precipitarsi barcollando all’interno del teatro. Una testimone ha dichiarato “Sinceramente non ho pensato all’alcol o alla droga. Ho pensato che stesse preparando un ruolo, perché era davvero estremo. Se non avessimo saputo chi era avremmo pensato che fosse un barbone, dal suo aspetto e da come si comportava”.
Il giovane e promettente attore non è di certo nuovo a comportamenti sopra le righe ed atteggiamenti borderline (ricordiamo la sua apparizione a febbraio sul tappeto rosso del Festival di Berlino con un sacchetto in testa recante la scritta “I’m not famous anymore”), ma il susseguirsi di questi singolari eventi pone a tutti una semplice domanda: ci è o ci fa?
Articolo di Jacopo Braghiroli