Fantasy: pura magia. Capace di affascinare tutti, dai più piccoli ai più grandi, il genere nasce dalla propensione della stessa mente umana di creare mondi e personaggi straordinari, dando libero sfogo all’immaginazione. Che si parli di libri, film o cartoni animati, il fantastico ha sempre saputo conquistare chiunque si avvicinasse a esso senza preconcetti, accettandone le libertà e gli estremismi. Proprio per questo è un genere che si ama o si odia, ma che sicuramente negli ultimi anni è stato oggetto di una radiosa rinascita, soprattutto per i numerosi prodotti cinematografici e televisivi, che grazie agli effetti speciali e alle tecniche oggi disponibili, riescono a rendere quegli universi incantati ancora più reali e finiscono per divenire fenomeni mediatici a tutti gli effetti.
Esemplificativi sotto questo punto di vista sono la saga cinematografica de “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson, continuata recentemente con “Lo Hobbit”, del quale non resta che attendere l’ultimo capitolo, e la serie TV “Il Trono di Spade”, prodotta dalla HBO.
Entrambe sono tratte da opere letterarie: la prima deriva dai capisaldi del genere (la famosa serie dell’Anello), scritti da J. R. R. Tolkien, considerato “padre” della narrativa fantasy moderna; dall’altra parte abbiamo invece il lavoro di George R. R. Martin, che con “Le Cronache del ghiaccio e del fuoco” ha dato nuova linfa al fantasy contemporaneo.
Tanto è stato il loro successo che al Romics di quest’anno, oltre alla presenza di numerosi cosplay, si è deciso di dedicare ai due franchise un evento specifico, un viaggio attraverso la Terra di Mezzo e Westeros.
L’incontro si è concentrato prevalentemente sulle differenze e le analogie tra i due prodotti e il loro apporto al mondo del fantasy e c’è da dire che, a differenza dell’ultima fatica di Jackson, ciò che è stato in grado di fare “Il Trono di Spade” è stato rendersi più fruibile a un pubblico enorme, concentrandosi sulla fitta trama di intrighi e giochi politici, mascherando l’elemento magico, mostrato solo alla fine della prima stagione.
Tutt’altro accade per “Lo Hobbit”, in cui sin dal primo fotogramma veniamo catapultati in un mondo fantastico, ricco di creature straordinarie; il diverso approccio dei due lavori è sintomo anche di target differenti: il lungometraggio è adatto alla visione da parte di spettatori anche molto giovani, grazie al suo tratto favolistico; la serie TV è invece palesemente indirizzata a un pubblico più “pronto” ad affrontare temi quali la sessualità esplicita e la fitta rete di cospirazioni. Questo è anche testimoniato dalla scelta degli attori per la trasposizione televisiva, portatori di una fisicità spesso ostentata.
Continuando il discorso sui punti di contatto o di divario, Pasquale Di Viccaro (David di Donatello per gli Effetti visivi in “20 sigarette” di Aureliano Amedei) si è concentrato sulle architetture dei due mondi e il suo rapporto con la natura. La serie targata HBO viene paragonata da Di Viccaro a “Excalibur” di John Boorman, a cui affibbia un gusto “steampunk molto sporco”, e conferisce al film di Jackson il titolo di “opera bio”, in cui l’architettura e gli edifici sono parte integrante della rigogliosa natura che avvolge il mondo dei protagonisti.
Molto interessante è stato poi l’intervento di Gianluca Comastri, esperto di lingua elfica, che ci ha accompagnati in un viaggio attraverso l’uso e l’evoluzione della lingua nella Terra di Mezzo, evidenziando il lavoro da filologo linguista di Tolkien; Comastri si è concentrato in particolar modo sulla lingua elfica, caratterizzata da una bellezza grafica e musicale. Nella cosmogonia ideata dal padre del fantasy moderno, “il mondo nasce da un canto e gli elfi sono i primogeniti della divinità, destinati a tradurre e completare la creazione della Terra nei piani dell’essere divino; naturale è dunque per questa razza l’attrazione per tutto ciò che è bello e musicale. La presenza di poemi e canti è infatti massiccia all’interno de ‘Il Signore degli Anelli’, mentre è minore ne ‘Lo Hobbit’, facendo parte di una composizione narrativa antecedente, che vedeva il costrutto basato sulle lingue e il loro intreccio con la mitologia, ancora in divenire” (la trilogia di Frodo fu pubblicata tra il 1954 e il 1955, scritta a partire dal 1937, anno in cui fu pubblicata la prima edizione de “Lo Hobbit”).
L’esperto continua esaltando l’evoluzione progettata da Tolkien per questa lingua, i cui appunti la fanno partire sin dal “proto-elfico” fino ad arrivare all’Alto Elfico della Terza Era, con un processo che “non ha nulla da invidiare all’evoluzione delle lingue romanze dall’indoeuropeo”.
Tutto ciò confluisce nella visione della parola come portatrice di potere, soprattutto se trasmessa attraverso il canto, e qui il punto di contatto con “Il Trono di Spade” è evidente; nella serie TV spade e combattimenti abbondano, ma molto spesso i protagonisti dimostrano di poter raggiungere scopi altrimenti inarrivabili attraverso la dialettica, oscillando tra verità, menzogne e lusinghe. Nelle alte sfere del potere, saper dire la cosa giusta al momento giusto può salvarti la vita e farti ottenere ciò che la forza bruta non potrebbe mai.
Seppur avari di anticipazioni, la prossima stagione de “Il Trono di Spade” sembra essere all’insegna degli stravolgimenti sin dalle prime puntate. Basandoci sull’opera cartacea, ruoli di grande spessore dovrebbero essere quelli di Tyrion Lannister e Jon Snow, rispettivamente interpretati da Peter Dinklage (che vedremo come nemico principale in “X-Men – Giorni di un futuro passato”) e Kit Harington (visto circa due mesi fa in “Pompei” di Paul W. S. Anderson). È noto, tuttavia, che la serie ami prendersi delle libertà non indifferenti rispetto ai libri, perciò tutto è possibile. Vista, inoltre, la prima puntata ciò che mette sul piatto questa stagione è:
- un nutrito gruppo di new-entry, indispensabile a sopperire al continuo “genocidio” che accompagna ogni stagione, e l’arrivo della tanto attesa “Vipera Rossa”, alias Oberyn Martell, che avrà il volto di Pedro Pascal (attore televisivo in serial quali “Homeland” e l’inedito “Graceland”) e che non pare proprio amare i Lannister.
- un cambio di casting: Daario Naharis, guerriero al servizio di Daenerys, non avrà più il volto di Ed Skrein (impegnato a sostituire Jason Statham nel prossimo “Transporter”), bensì quello di Michiel Huisman (nel cast di “World War Z”).
- l’arrivo dei Thenn, clan di bruti dalle regole alimentari poco ortodosse, al servizio di Mance Ryder, intenzionato ad assaltare i 7 regni oltre la Barriera.
La quarta stagione de “Il Trono di Spade” è iniziata domenica scorsa in America ed è stata trasmessa in Italia, su Sky Atlantic, mercoledì 9 aprile, alle 23:00, in lingua originale sottotitolata, mentre arriverà venerdì 18, alle ore 21:10, sempre sullo stesso canale, nella versione doppiata. Il consiglio, come sempre, è solo uno: non affezionatevi troppo ai personaggi!