La sindrome di Antonio: al cinema l’ultima apparizione di Giorgio Albertazzi

Dopo tanti lavori per la tv, La sindrome di Antonio è il primo lungometraggio di Claudio Rossi Massimi. L’anteprima romana, oltre alla proiezione del film, è stata l’occasione giusta per raccogliere qualche dichiarazione dei protagonisti: “È stata una bella faticaccia, non è semplice girare in 3 location diverse: Roma, la Puglia e la Grecia. Il lavoro è durato circa un anno, sono curioso di sapere se piacerà al pubblico e alla critica”, ha affermato il regista. Il fascino del film, oltre che nei bellissimi paesaggi catturati dalla cinepresa, risiede nel ritratto del maestro Albertazzi: il suo è un piccolo ruolo, eppure così intenso. L’attore interpreta infatti un pittore, Klingsor, che ha deciso di passare gli ultimi anni della sua vita in una casa isolata, senza parlare con nessuno, vestito con abiti eleganti. Lì, davanti al mare, dipinge sempre lo stesso quadro e attende la morte come fosse un ospite da cui non vuole farsi trovare impreparato. Sull’ingaggio di Albertazzi, Rossi Massimi racconta:

“Sapevo che sarebbe stato perfetto per quel ruolo ma immaginavo che il costo sarebbe stato troppo elevato per la nostra produzione. Abbiamo deciso lo stesso di provare e di contattarlo. Gli abbiamo consegnato la sceneggiatura e lui ha richiamato il giorno dopo dicendo che aveva passato la notte a leggerla, il personaggio gli piaceva e l’avrebbe fatto. Con tutta la semplicità del mondo”.

Il ricordo dell’attore scomparso il 28 maggio 2016 si è concluso con la consegna di una targa commemorativa alla vedova Pia de’ Tolomei, che ha ringraziato tutti con fare mite e riservato.

La storia raccontata da La sindrome di Antonio parte nel marzo del 1969, quando il giovane Antonio esprime il desiderio di andare in Grecia per vedere quei luoghi che hanno ispirato il suo idolo: Platone. Pur non avendo trovato nessuno disposto ad accompagnarlo, nel settembre 1970 racimola soldi e automobile (quella di sua madre) e si lancia nell’impresa. Il suo amico Gino gli consiglia un posto in cui dormire a poco prezzo e gli fornisce il contatto di un’amica, Maria, che l’avrebbe potuto accogliere. L’incontro con Maria fa scoccare la scintilla e i due sapranno intendersi a meraviglia. Complice la Grecia con i suoi angoli più incantevoli, il viaggio alla ricerca della caverna del mito di Platone diventa l’occasione giusta per vivere un’avventura, guardarsi dentro, conoscere la generazione del ’68 e imparare una lezione: bisogna avere diritto al dubbio, nulla va accettato solo ‘per pigrizia’. La sindrome di Antonio, in fin dei conti, è una storia on the road dal sapore agrodolce. Guarda agli anni 60-70 senza avere la pretesa di andare troppo a fondo nelle vicende storico-politiche che hanno caratterizzato quegli anni turbolenti. Alfred Hitchcock la definirebbe ‘una pellicola piena di parole’: si parla molto e accadono pochi fatti, eppure lo spettatore non ha motivo di annoiarsi. I due attori protagonisti (Biagio Iacovelli e Queralt Badalamenti) risultano un po’ acerbi, mentre vanno apprezzate le performance dei veterani Antonio Catania e Remo Girone. Nel cast anche Moni Ovadia e Chiara Gensini. Su una cosa poi va dato merito al regista: Albertazzi era davvero perfetto per quel personaggio e quest’ultima apparizione sul grande schermo è un regalo che va senz’altro apprezzato.

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