La Faida – La recensione

Locandina La Faida

La Faida“, nelle sale italiane a partire dal prossimo 29 di agosto, è il nuovo drammatico film di Joshua Marston, che torna ad affrontare con efficacia il tema della gioventù negata dalle precarie condizioni sociali, dopo il successo di “Maria full of grace“. Questa volta però sceglie l’Albania come sfondo per la nuova storia, che nonostante la globalizzazione, presenta ancora zone che paiono rimaste come sospese ai tempi del Medioevo, in un mondo fatto ancora di vendette e di profonda solitudine. La pellicola ha vinto l’Orso d’Argento al Festival di Berlino del 2011 ed è coprodotta dal nostro Domenico Procacci per la Fandango. Ecco la trama e la nostra recensione. In una piccola città di campagna nel nord dell’Albania, Nik vive abbastanza spensieratamente in un mondo che, nonostante sia ancora legatissimo alle tradizioni rurali, ha fatto entrare anche molti confort moderni, come internet, i cellulari e i motorini. Nik sogna da sempre di aprire un internet cafè, mentre la sorella minore, che si chiama Rudina, spera di poter andare all’università, ma le cose cambiano molto in fretta quando il padre dei due ragazzi, Mark Landan, uccide involontariamente Sokol Bala, suo vicino, per una banale storia di confini territoriali. Quest’ultimo infatti non permetteva a Mark di attraversare il suo terreno con la carrozza, con la quale portava il pane alle case ed ai negozi della zona.

E’ a questo punto che il Medioevo prende il sopravvento sul presente fatto di telefonini e si scatena una faida che promette di trasformarsi in un bagno di sangue; il padre si dà alla fuga tra le montagne e le sue colpe ricadono sul figlio maggiore, che si ritrova rinchiuso fra le quattro mura domestiche, senza più la possibilità di vedere gli amici e, soprattutto, Bardha, la ragazza per la quale cominciava a provare un interesse particolare. Così Nik imbraccia il fucile e comincia ad allenarsi a sparare, mentre Rodina si trasforma in un’abile donna d’affari, visto che in casa non c’è più niente da mangiare e la madre non ha la iù pallida idea di cosa fare; Rodina prende in gestione l’attività del padre e si mette a fare il giro delle consegne con la carrozza e per arrotondare inizierà anche il contrabbando di sigarette. Il padre poi ritorna, viene messo in prigione, ma rilasciato subito perchè la vendetta possa essere compiuta e Nik, dopo aver provato a trattare con la famiglia rivale, se ne va via verso un nuovo destino che potrebbe anche essere il nulla. Purtroppo queste situazioni succedono ancora ai giorni nostri, grazie ad un antico codice di giustizia contadina, chiamato “kanun”, che prevede regole precise e vendette di sangue e che non si riesce a fermare, nonostante siano stati fatti continui ed innumerevoli tentativi di scoraggiarlo e sradicarlo. Il film segna il ritorno del regista al lungo metraggio dopo diverse esperienze televisive ed è stato un ritorno travagliato vista la fatica a reperire i finanziamenti, dovuta sia alla crisi economica, ma soprattutto alla scarsa disponibilità da parte dei produttori americani, da sempre molto poco interessati rispetto a progetti di questo tipo.

Sia il regista che lo sceneggiatore albanese Andamion Murataj hanno svolto approfondite ricerche nel paese dove si svolge la storia e si sono trovati curiosamente al centro di una lite simile a quella descritta nel film, per una questione di permessi, senza però arrivare a situazioni estreme. Paradossalmente, nel film non ci sono scene di vendette e spargimenti di sangue, come farebbero invece supporre sia il titolo che la trama, sia perchè la storia è ambientata in un paese che raramente presta i propri scenari al cinema, ma anche e soprattutto perchè il regista mette da parte la tensione che in questi casi sarebbe scontata e si concentra solo sulle interpretazioni dei personaggi principali e punta sul realismo della messa in scena. Gli attori Tristan Halilaj e Refet Abazi, sono veramente credibili nei rispettivi ruoli di padre e figlio, ma anche la recitazione di  Sindi Laçej nei panni di Rudina, non è affatto di poco conto. Marston segue la lotta quotidiana di Nik e Rudina per resistere contro tutto e tutti, da vicino e con partecipazione, ma senza mai cadere nel sentimentalismo da poco prezzo, ne fa vedere i pregi ma non ne nasconde i difetti. Un film, in definitiva, girato in maniera il più realistica possibile, con notevole spirito critico, con attori quasi sconosciuti, ma di grande talento; sicuramente da vedere.

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