Un anno da leoni: La recensione

Dopo 6 anni dall’enorme successo ottenuto con Il Diavolo Veste Prada, con più di 300 milioni di dollari incassati il tutto il mondo e dopo 4 anni dal bellissimo Io & Marley, con quasi 250 milioni di dollari di incassi, torna al cinema uno dei registi più capaci nelle trasposizioni cinematografiche, David Frankel; anche questo Un anno da leoni, nelle sale italiane da venerdì 27 luglio, infatti, è tratto da un romanzo e precisamente dal libro di Mark ObmascikThe Big Year: A Tale of Man, Nature, and Fowl Obsession“, che però inaspettatamente è risultato un fiasco al botteghino con solo 7 milioni di dollari incassati a fronte di una spesa di ben 41 milioni di dollari. Probabilmente la colpa è l’argomento sul quale verte il film, il birdwatching, considerato troppo di nicchia, visto che il cast è di tutto rispetto;  cuore del film infatti è il North American Big Year, un concorso che vede la partecipazione di migliaia di osservatori di uccelli nei luoghi più belli e incontaminati d’America. Il vincitore sarà colui che riuscirà ad individuare il maggior numero di specie di uccelli entro la mezzanotte del 31 dicembre. Il film segue le vicende di tre di questi birdwatchers e più precisamente di Kenny Bostick (Owen Wilson), detentore del primato raggiunto nel 2003 con 732 avvistamenti, di Stu Preissler (Steve Martin), manager attempato indeciso se andare o meno in pensione e di Brad Harris (Jack Black), infelice impiegato e fresco di divorzio, capace di riconoscere, grazie al suo udito finissimo, il canto di qualunque specie di uccello; tra questi ultimi due scatterà un’alleanza per battere lo strapotere di Bostick.

In sintesi è la storia di un’amicizia profonda che si instaura in tre uomini del tutto diversi tra loro e che grazie a questo nuovo rapporto cambieranno il loro modo di porsi nella vita. Il film, purtroppo, non risulta brillante neanche sotto il profilo documentaristico, perchè nonostante il tema trattato, si vedono ben pochi uccelli e le riprese dei paesaggi risultano scarne e poco approfondite. La storia non è brutta e c’è pure qualche battutina spiritosa, ma lo svolgimento piatto, senza nessun colpo di scena, fanno si che la pellicola scorra noiosa e lenta; a pregiudicare ancora di più lo svolgimento della trama c’è poi un incipit che promette grandi cose, sia a livello di battute che paesaggistico, quando ci vengono presentati i tre protagonisti e le regole della gara, ma poi tutto si spegne fino a diventare pura narrazione senza gag, trovate originali e colpi di scena. Eppure la recitazione dei tre mostri della commedia ingaggiati per il film risulta ineccepibile, ma è stato proprio il regista a volerne smorzare la vena comica, volendo puntare più sui sentimenti privati  e famigliari dei tre protagonisti e su un’atmosfera surreale.

La sceneggiatura, curata da Howard Franklin, non riesce proprio ad affascinare chi di questa disciplina non ne sa nulla, neanche umanizzando al massimo la trama sviscerando i sentimenti e le emozioni private dei tre protagonisti. Infatti la particolarità di questa commedia è semplicemente che non fa ridere: uno segue lo svolgimento e si ripete continuamente che il film deve ancora decollare, ma il decollo non c’è e alla fine si scopre di essersi semplicemente annoiati. Anche il titolo poi fa la sua parte e come sempre in Italia i film devono venire sempre storpiati, al punto che in questo caso pare di trovarsi davanti ad un film della serie delle avventure di Bradley Cooper in Una notte da leoni. Insomma un mezzo passo falso nella carriera di questo regista che finora ci aveva entusiasmato con due film meravigliosi; rimane giusto un film per gli appassionati del birdwatching e forse neanche per loro, visto, come ho già accennato prima, che di uccelli se ne vedono ben pochi.

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